Va condannato il padre che omette di assolvere al dovere del mantenimento nei confronti del minore ai sensi dell’art. 570 c.p. Ciò anche se la paternità sia stata riconosciuta solo in seguito dopo la pronuncia del Tribunale di accertamento giudiziale non avendo provveduto il responsabile al riconoscimento volontario Unica possibilità di sottrarsi alla condanna sarebbe stata la dimostrazione di impossidenza di redditi e l’impossibilità di prestare attività lavorativa non per propria colpa per tutto il periodo dell’omissione.
Allorché il figlio maggiorenne voglia continuare a percorrere gli studi intrapresi purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori, tale diritto va garantito. Non basta per sottrarsi all’assegno che una figlia completi il corso degli studi, in quanto il padre è tenuto a partecipare anche nelle ulteriori fasi di perfezionamento. L’unica possibilità per ottenere l’annullamento ed una riduzione per il mantenimento per i figli e la prova dell’indipendenza economica degli stessi, ovvero che l’interessata, terminati gli studi, avesse rifiutato offerte di lavoro. La prosecuzione degli studi è sempre una scelta finalizzata ad un utile inserimento nel mondo del lavoro, corrispondente alle inclinazioni personali della figlia e compatibili con le società al momento della decisione (26 anni), in rapporto alla situazione economico patrimoniale della famiglia.
Allorché un marito separato, formi una nuova famiglia con la nascita di nuovi figli, tale circostanza incidendo sul reddito dell’obbligato, può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite. Ciò in quanto l’assunzione di nuovi obblighi di carattere economico nei confronti della nuova famiglia è altrettanto importante degli obblighi di mantenimento nei confronti della precedente. Tuttavia la circostanza sopravvenuta va valutata dal giudice caso per caso, in quanto non può essere ipotizzata un automatico diritto del padre ad ottenere la riduzione. Non vi è in sostanza alcuna norma, per cui il mantenimento del coniuge separato vada ridotto, di diritto, con la nascita di un nuovo figlio. Sarà la Corte che dovrà valutare e decidere se la circostanza sopravvenuta della nascita di una altro figlio ai sensi dell’art. 156 c.c. comporti la modifica o la revoca delle statuizioni già assunte in precedenza.
Ai sensi degli art.li 237, 262, 299 c.c., 72 comma 1 R.D. n° 1238/39, 3334 del D.p.r. n° 396/2000 è prevista l’attribuzione automatica del cognome del padre al figlio nato in costanza di matrimonio. È stata sollevata eccezione e dichiarata la incostituzionalità, in rapporto all’art. 2 della Costituzione per lesione del diritto all’identità personale in quanto ogni individuo appena nato ha diritto a veder riconoscere le caratteristiche identificative di entrambi i genitori. A ciò si aggiunga che, secondo la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, appare incostituzionale che debba essere attribuito al figlio nato dalla coppia sposata, automaticamente il cognome del padre. Deve essere invece ammesso che i coniugi di comune accordo possano trasmettere ai figli al momento della nascita anche il cognome materno.
Va confermata la sentenza del Giudice del merito che ha trasferito il collocamento del figlio, dalla madre al padre, ciò in quanto il figlio aveva un rapporto troppo stretto con la madre talché emergava un quadro “simbiotico” che pregiudicava i dovuti rapporti con l’altro genitore. Pertanto in questo caso il collocamento prevalente può essere trasferito presso il padre per un corretto ed equilibrato sviluppo della personalità e della crescita del bambino
Pur dovendosi tutelare l’interesse ed il diritto del padre a mantenere rapporti continuativi e la frequentazione con la propria figlia adolescente, tuttavia di fronte al rifiuto della ragazza di qualsiasi forma di contatto con il padre, va tenuto conto dell’età e della sensibilità della giovane che si sente ferita della poca attenzione a suo tempo dedicata dal padre. Dunque la mancata partecipazione alle visite di questi non può essere compensata da un provvedimento cattivo da parte del Tribunale, ma la frequentazione può essere verificata dai Servizi Sociali solo su basi spontanee e non certo perché dettate dal Tribunale o dai Servizi Sociali, né tantomeno dalla Corte Suprema.
Non è ammissibile chiedere l’integrazione del proprio mantenimento alle zie paterne, ritenute non legittimate passivamente in causa, perché non assimilabili agli ascendenti ai fini del concorso al mantenimento della nipote non economicamente autosufficiente.
I figli hanno diritto a mantenere lo stesso tenore di vita di cui avrebbero goduto ove non fosse sopravvenuto il disgregamento dell’unione familiare È tenuto a versare l'assegno di mantenimento al figlio, l'onerato con un cospicuo patrimonio immobiliare, incrementatosi a seguito di successione ereditaria.
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