Qualora in seno ad una famiglia in crisi fino a rendere opportuna e legittima la separazione personale dei coniugi, uno di essi, od uno dei nonni o dei congiunti più vicini e frequentati sia accusato d'avere consumato abusi sessuali ai danni di qualcuno del gruppo, maggiorenne o minorenne che possa essere la vittima, il turbamento provocato nei minori dall'apprendimento dell'accusa, turbamento sì grave da poter causare in loro perfino una rilevante malattia psicosomatica, esige che tra minori ed i congiunti prevenuti degli illeciti predetti sia interrotto ogni contatto, ovvero questo avvenga, se proprio necessario, in condizioni di controllo e di sicurezza, a prescindere, intanto, dall'accertamento della fondatezza delle accuse, o dal verificarsi, comunque, di fatti tali da provocare l'applicazione degli art. 330, 333 c.c., fermo restando che il genitore od il congiunto privato dell'esercizio del diritto di visita può sempre agire per ottenere, motivatamente, il ripristino di tale esercizio, così come può fare ricorso, ex art. 337 c.c., al g.t.
Il provvedimento che dichiara la decadenza, di uno o di entrambi i genitori, dalla potestà parentale conserva la sua ragione d'essere anche quando venga emanato dopo che la prole ha raggiunto la maggiore età, così come la decadenza stessa può essere richiesta quando la prole è già divenuta maggiorenne; in entrambe le ipotesi non possono essere considerate irrilevanti le reciproche implicazioni, fattuali ed effettuali, d'ordine successorio (specie in tema di indegnità a succedere).
Ritenuto che la pronuncia di affidamento esclusivo ad un genitore deve ormai essere sorretta non solo da valutazioni in positivo sulla idoneità del genitore prescelto, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa, ovvero sulle manifeste, rilevanti carenze dell'altro genitore, l'affidamento esclusivo al padre può essere giustificato, ignorando, tra l'altro, le relazioni dei servizi sociali, solo dalla attuale pendenza di un giudizio penale per calunnia a carico della madre che aveva, a suo tempo, accusato l'altro genitore di abusare sessualmente della figlia in tenerissima età: si tratta, invero, di fatti comunque risalenti nel tempo e che nulla hanno a che vedere con il rapporto genitoriale e con l'interesse minorile.
Il criterio della proporzione dell'assegno di mantenimento per la prole rispetto alla situazione reddituale dei genitori, non costituisce l'unico parametro per la sua determinazione, occorrendo innanzitutto chiedersi quale sia la somma necessaria a garantire il soddisfacimento dei bisogni del figlio, come enucleati negli art. 147 - 148, c.c., e tenuto conto dei parametri di cui agli art. 155, comma 4, c.c. Si ritiene poi, quanto alle spese straordinarie, che esse comprendano le spese mediche e di istruzione, sol quando non rientrino nella normalità della vita del minore. Si parla dunque di spese straordinarie, quando trascendano le ordinarie esigenze di vita del minore. Al fine di semplificare i rapporti, si preferisce tener conto, nella determinazione globale dell'assegno di mantenimento , di tutte le spese che caratterizzano la normale vita del figlio, sicché, rendendo l'assegno onnicomprensivo, si possano limitare l'occasione di conflittualità.
L’unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell'altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati, si realizza allorché l’omissione totale o parziale del versamento faccia mancare i mezzi di sussistenza ai beneficiari dell'assegno. Pertanto, non risponde del reato di cui al comma 1 dell'art. 570 c.p. il coniuge che non versa l’assegno di mantenimento ai figli, qualora la capacità economica del coniuge affidatario, non indigente, sia sufficiente a garantirgli i mezzi di sussistenza.
Nei giudizi sulle modalità di affidamento della prole e sulle limitazioni della potestà parentale il diritto del minore a conservare equilibrati, sostanziali, continuativi rapporti con i nonni e gli altri parenti, previsto dall'art. 155 e ss. c.c. e dalla l. n. 54 del 2006, può essere tutelato mediante la richiesta dei nonni di accertare in via giudiziale un esercizio della potestà parentale consono agli interessi globali e basilari della prole (art. 330 e 336 c.c.).
I provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, che limitino o escludano la potestà dei genitori naturali ai sensi dell'art. 317 bis c.c., che pronuncino la decadenza dalla potestà sui figli o la reintegrazione in essa, ai sensi degli art. 330 e 332 c.c., che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei genitori pregiudizievole ai figli, ai sensi dell'art. 333 c.c., o che dispongano l'affidamento contemplato dall'art. 4, comma 2, l. 4 maggio 1983 n. 184, in quanto privi dei caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale, non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 111, comma 7, cost. neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione (nella specie, la mancanza del parere del p.m. e la mancata audizione dei genitori), in quanto la pronunzia sull'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell'atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito.
Le situazioni ostative, anche nel caso di minori neonati o di età tenerissima, non devono ridursi a meri disagi temporanei od a transitorie reazioni emotive, ma consistere in oggettivi rischi di pericolo psicofisico, poiché, diversamente opinando, si dovrebbe sempre negare il rimpatrio degli infanti condotti arbitrariamente altrove dalla madre, in ragione dell'ovvio rapporto che sussiste in questi casi tra la genitrice ed il piccolo nato.
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