La moglie divorziata titolare dell’assegno da parte del’ex coniuge, ha diritto di norma ad una quota del TFR in rapporto al periodi di matrimonio ed al periodo lavorativo ai sensi della legge n° 898/70.
Tuttavia si deve tartare del TFR in senso stretto.
Nel caso di un assicuratore il quale abbia diritto ad una indennità di fine rapporto con la liquidazione del portafoglio, poiché il rapporto lavorativo tra agente assicurativo e compagnia assicurativa non è sicuramente rapportabile ad un lavoro subordinato, non può la moglie ottenere una quota di quanto liquidato al marito, non potendosi equiparare tale indennità finale ad un TFR ad un rapporto di lavoro subordinato.



La domanda di revisione dell'assegno di divorzio e quella riconvenzionale di riconoscimento di una quota di t.f.r. sono oggettivamente connesse ai sensi dell'art. 36 c.p.c., perché il diritto all'assegno, di cui si discute nel giudizio di revisione, è il presupposto di entrambe, non rilevando, inoltre, se il diritto alla quota del t.f.r. maturi successivamente alla sentenza di divorzio ; pertanto, l'art. 40 c.p.c. ne consente il cumulo nello stesso processo, sebbene si tratti di azioni di per sé soggette a riti diversi

Ai fini della determinazione della quota dell' indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12 bis l. 1º dicembre 1970 n. 898 (introdotto dall'art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74), all'ex coniuge, il legislatore si è ancorato ad un dato giuridicamente certo ed irreversibile quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad un elemento incerto e precario come la cessazione della convivenza, la quale non implica in modo automatico il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi, escludendo, pertanto, anche qualsiasi rilevanza della convivenza di fatto che abbia preceduto le nuove nozze del coniuge divorziato titolare del trattamento di fine rapporto .

L'art. 12 bis l. n. 898/70, che prevede l'attribuzione al coniuge al quale sia stato riconosciuto l'assegno ex art. 5 l. stessa e non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza, deve essere interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio (con conseguente insussistenza del diritto unicamente se l'indennità matura anteriormente a tale momento) e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, senza che rilevi che a tale momento l'assegno divorzile sia stato già liquidato e sia già dovuto.

L'espressione, contenuta nell'art. 12 bis l. 1 dicembre 1970 n. 898, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del t.f.r. anche se questo "viene a maturare dopo la sentenza" implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il t.f.r. sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell'assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato. Infatti, poiché la ratio della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all'assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell'assegno di divorzio, ove l'indennità sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno è riconnessa l'attribuzione del diritto alla quota di t.f.r.

Per l'attribuzione dell' indennità di fine rapporto all'ex coniuge è necessario che questi non sia passato a nuove nozze e che sia titolare dell'assegno divorzile (art. 12 bis l. 1 dicembre 1970 n. 898). La quota sul t.f.r. cui ha diritto l'ex coniuge sussistendone i relativi presupposti di legge (art. 12 bis l. 1 dicembre 1970, n. 898) riguarda tutti i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, che siano configurabili come quota differita della retribuzione, condizionata sospensivamente nella riscossione dalla risoluzione del rapporto di lavoro.

Il presupposto della titolarità dell'assegno divorzile (art. 12 bis l. 1 dicembre 1970, n. 898) non può essere utilmente posto in discussione, dal coniuge onerato, nel corso del procedimento promosso nei suoi confronti per il riconoscimento di una quota sul t.f.r., giacché l'eventuale provvedimento di revoca dell'assegno non potrebbe che valere per il futuro, e quindi con salvezza dei diritti, già azionati, che all'assegno stesso si riconnettessero, come appunto quello relativo alla quota sul t.f.r.

Qualora l'ex coniuge abbia domandato l'attribuzione di una quota del t.f.r. dell'altro, ai sensi dell'art. 12 bis l. n. 898/70, e la stessa sia stata disposta dal Giudice di merito, l'eventuale reclamo, avverso il decreto dispositivo dell'attribuzione, è soggetto al termine perentorio di dieci giorni, con decorso dalla notificazione del provvedimento stesso, oppure, al termine di cui all'art. 327 c.p.c.

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Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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