In caso di divorzio l’ex coniuge che lavora, ove richieda un assegno per aver sacrificato al propria carriera è tenuta a dimostrare in maniera specifica sia tale circostanza, sia la differenza fra il reddito che avrebbe percepito e quello che invece percepisce, se la rinuncia sia stata raggiunta di comune accordo o unilateralmente.
Il giudice nello stabile un assegno divorzile deve indicare i criteri sui quali è basata la determinazione specifica dell’entità dell’assegno stesso.
L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento dell’assegno del divorzio, sulla sua revisione, nonché sulla quantificazione e sull’ammontare relativo, ma non determina necessariamente la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno divorzile. Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto del coniuge richiedente, e questi sia privo di mezzi adeguati ed impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, può mantenersi il diritto al riconoscimento all’assegno divorzile a carico dell’ex coniuge soltanto in funzione compensativa. A tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, dell’eventuale rinuncia concordata alle occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. L’assegno divorzile, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita durante il rapporto matrimoniale, né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge, ma deve essere quantificato considerando i mezzi attuali del richiedente e l’apporto dato al menage familiare, in funzione comunque della durata del matrimonio.
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, con la sentenza n. 18287, hanno stabilito che all’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Precisa la sentenza che, ai fini del riconoscimento dell’assegno, si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. La sentenza sottolinea infine che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
E’ errata la lettura dell’art. 5 comma 6°, nel senso che il coniuge abbia diritto anche dopo il divorzio a mantenere il tenore di vita che aveva durante il matrimonio laddove lo scopo del divorzio è appunto quello di far cessare ogni rapporto fra gli ex coniugi. Secondo tale nuovo orientamento dunque, va escluso che possa sussistere una “ultra-attività” del vincolo matrimoniale dopo il divorzio. L’eventuale diritto della moglie ad ottenere un assegno divorzile per sé stessa non può che derivare dalla mancanza di redditi adeguati o dall’impossibilità di procurarsene. Ciò significa sostanzialmente che il giudice, allorché venga richiesto l’assegno divorzile, deve procedere ad un preventivo esame per stabilire in linea teorica se la richiedente ne abbia o meno diritto, (il cosiddetto “an debeatur”). Il diritto scaturisce dunque solo se la richiedente è priva di reddito e non sia in grado di procurarsene uno adeguato, cioè se non è indipendente economicamente. Soltanto se si risponde positivamente a tale domanda si passerà alla determinazione dell’importo dell’assegno che non dovrà tuttavia essere rapportato alle condizioni economiche degli ex coniugi godute durante il rapporto coniugale, bensì al criterio del raggiungimento di un’indipendenza economica in modo da rendere autosufficiente l’interessata.
Matrimonio breve: l’assegno divorzile spetta egualmente. La durata del matrimonio è importante nella valutazione dei diritti che scaturiscono dal fallimento dell’unione. Tuttavia la breve durata del matrimonio di per sé stessa non può escludere il diritto all’assegno divorzile, ma al più incide solo sulla sua entità
L’instaurazione di una nuova famiglia fa venir meno per sé stessa, ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge.Ciò per sempre. Dunque il relativo diritto non rientra più in uno stato di quiescenza nel senso che, ove venisse a cessare la convivenza, riprenderebbe vita il diritto all’assegno divorzile, ma di contro tale diritto resta definitivamente pregiudicato dalla convivenza stessa, indipendentemente se questo perduri o meno. L’ex coniuge che decida quindi di iniziare una relazione di convivenza, è ben consapevole che questa escluderà ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge il quale deve considerarsi ormai definitivamente esonerato dall’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile.
Se il coniuge intraprende dopo la separazione o il divorzio una nuova convivenza stabile con un altro compagno, viene ad esistere una nuova famiglia portatrice di valori di solidarietà, arricchimento e sviluppo della personalità.
Il marito non è più tenuto a versare l’assegno di mantenimento o l’assegno divorzile alla moglie allorché questa abbia iniziato una nuova stabile convivenza con altro partner. Nel caso specifico, la donna intratteneva una relazione continuativa con un proprio compagno dal quale aveva avuto tra l’altro dei figli. Ciò nonostante continuava a richiedere il versamento dell’assegno da parte del marito stante la propria ridotta capacità reddituale. La domanda del marito di annullamento dell’assegno era stata respinta, sia in Tribunale che in Corte d’Appello. La Corte di Cassazione, viceversa, è stata di diverso avviso, statuendo come, allorché si è in presenza di una situazione stabile e cioè sia nata un’altra famiglia di fatto, portatrice di valori di solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, il diritto a percepire l’assegno in base all’adeguatezza dei mezzi del proprio ex coniuge in funzione del tenore di vita goduto durante il rapporto matrimoniale, viene meno, di fronte all’esistenza di una nuova famiglia anche se di fatto. Infatti la nuova relazione rescinde ogni connessione con il tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, e quindi sostanzialmente con l’instaurazione di una nuova stabile famiglia la donna perde definitivamente il diritto all’assegno divorzile.
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