E’ errata la lettura dell’art. 5 comma 6°, nel senso che il coniuge abbia diritto anche dopo il divorzio a mantenere il tenore di vita che aveva durante il matrimonio laddove lo scopo del divorzio è appunto quello di far cessare ogni rapporto fra gli ex coniugi.
Secondo tale nuovo orientamento dunque, va escluso che possa sussistere una “ultra-attività” del vincolo matrimoniale dopo il divorzio.
L’eventuale diritto della moglie ad ottenere un assegno divorzile per sé stessa non può che derivare dalla mancanza di redditi adeguati o dall’impossibilità di procurarsene.
Ciò significa sostanzialmente che il giudice, allorché venga richiesto l’assegno divorzile, deve procedere ad un preventivo esame per stabilire in linea teorica se la richiedente ne abbia o meno diritto, (il cosiddetto “an debeatur”).
Il diritto scaturisce dunque solo se la richiedente è priva di reddito e non sia in grado di procurarsene uno adeguato, cioè se non è indipendente economicamente.
Soltanto se si risponde positivamente a tale domanda si passerà alla determinazione dell’importo dell’assegno che non dovrà tuttavia essere rapportato alle condizioni economiche degli ex coniugi godute durante il rapporto coniugale, bensì al criterio del raggiungimento di un’indipendenza economica in modo da rendere autosufficiente l’interessata.