La formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge divorziato, determina la perdita definitiva dell’assegno divorzile in cui il medesimo aveva diritto a beneficiare.
L’accertamento circa il diritto ed eventualmente l’entità dell’assegno divorzile va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente conseguito in caso di continuazione del matrimonio o al quale poteva legittimamente o ragionevolmente affidarsi il coniuge più debole sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto. Il tenore di vita precedente deve quindi desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali. In tal senso ci si può anche riferire all’assetto economico relativo alla separazione costituendo questo un indice di riferimento idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Dedicare le proprie energie alla famiglia pregiudica le possibilità di realizzarsi nel campo lavorativo. Il coniuge è quindi tenuto a versare un assegno divorzile proporzionalmente rilevante all’ex coniuge che non riesca più a trovare lavoro, in quanto durante il matrimonio ha dedicato ogni propria energia alla cura della famiglia trascurando la propria attività lavorativa.
L’assegno divorzile può essere concesso in forza della legge 898/70 art. 5 comma sesto, allorché il beneficiario non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive. La formazione di una nuova famiglia di fatto da parte del coniuge divorziato determina la perdita definitiva dell’assegno divorzile di cui il medesimo benefici.
Ha diritto all’assegno la donna, dedicatasi alla famiglia, impossibilitata a rinvenire un lavoro adeguato.
Se per dedicarsi alla famiglia, la donna (ex commercialista), ha perso tutte le possibilità di trovare un adeguato lavoro, il coniuge è tenuto a versarle l’assegno divorzile in quanto, non può essere addebitata alla moglie, la perdita di chanche, per essersi sacrificata in età giovanile ed al momento del fallimento dell’unione, non sussistono più le possibilità di impiego che avrebbe rinvenuto all’epoca.
E' legittima la concessione di un assegno divorzile allorchè vengano riconosciute condizioni sfavorevoli, e obiettive, che rendono assai problematico trovare una adeguata attività lavorativa (confermata, nella specie, la decisione dei giudici che avevano riconosciuto ad una donna un assegno divorzile in considerazione del fatto che la stessa era iscritta da tempo nelle liste di collocamento e che in relazione all'età non più giovane e al territorio di residenza emergeva una oggettiva difficoltà nel reperire un attività lavorativa)
Assunto dal marito in sede di separazione personale l'obbligo di corrispondere per il mantenimento della moglie e dei figli con lei conviventi nella casa coniugale un assegno non inferiore a euro 1500 mensili, è irrilevante ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio sia la mera formazione culturale e professionale della moglie, in assenza della dimostrazione di una effettiva possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita, sia la invocazione (e la dimostrazione) da parte dello stesso marito, dello stato fallimentare in cui versa la società di cui è amministratore unico, qualora, costituito un nuovo nucleo familiare con una donna giovane priva di redditi e di attività lavorativa detto marito abbia procreato uno o due figli , consentito alla nuova famiglia un ««elevatoo» tenore di vita e acquistato un appartamento del valore dichiarato di euro 280.000, intestato alla donna poi divenuta sua seconda
Il marito, che ha un elevato tenore di vita insieme alla nuova compagna, alla quale intesta anche la nuova abitazione familiare, non può limitarsi ad addurre il fallimento della propria impresa a giustificazione della richiesta di diminuzione dell'assegno di mantenimento e di quello divorzile.
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