Non è ammesso l’accordo di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, allorché questo venga sottoscritto non solo dai coniugi ma anche dal figlio maggiorenne. Ciò in quanto la legge n. 162 del 2014, non prevede alcuna possibilità di accordi a tre e quindi il Pubblico Ministero non può concedere l’autorizzazione fermo restando il diritto dei coniugi a modificare l’accordo escludendo da questo la partecipazione del figlio.
Nell'ipotesi di immobile di esclusiva proprietà di un coniuge, allorchè venga disposta la revoca dell'assegnazione dell'immobile all'altro coniuge, deve necessariamente conseguire la restituzione dell'immobile all'avente diritto.
Il diritto del coniuge di ottenere dall'altro un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato a espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento a opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno.
In tema di obbligo di mantenimento a carico del padre e a favore della figlia e della ex moglie, occorre precisare che le stesse sono soggette a modifiche in caso di sopravvenuto matrimonio. È onere del genitore interessato alla cessazione dell'obbligazione contestato provare la condizione di autosufficienza della figlia ovvero che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa dipende dall'inerzia della stessa o dal rifiuto delle opportunità offertegli. Pertanto qualora la figlia posta in condizioni di completare gli studi abbia contratto matrimonio con persona avente una occupazione lavorativa, anche in caso di perdita di lavoro di quest'ultimo, l'obbligo di mantenimento a carico dei genitori non rivive, avendo la figlia costituito una propria nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente.
In tema di uso della cosa comune, sussiste la violazione dei criteri stabiliti dall'art. 1102 c.c. in ipotesi di occupazione dell'intero immobile ad opera del comproprietario e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, tale da impedire all'altro comproprietario il godimento dei frutti civili ritraibili dal bene, con conseguente diritto ad una corrispondente indennità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la liceità dell'uso esclusivo della casa familiare da parte di un coniuge, protrattosi in seguito alla revoca dell'ordinanza di assegnazione dell'alloggio pronunciata nel corso del giudizio di separazione personale, nonostante il dissenso espresso dall'altro coniuge contitolare).
La cessazione dell'obbligo di contribuzione a favore dei figli maggiorenni cessa allorquando il genitore obbligato provi la raggiunta indipendenza economica del figlio il quale, mediante un'attività lavorativa stabile, continuativa, con un reddito corrispondente alla professionalità acquisita nel corso degli anni di studio, è in grado di provvedere direttamente alle proprie esigenze (nella specie, la Corte ha escluso l'obbligo di contribuzione nei confronti di un figlio maggiorenne, assunto con contratto a tempo indeterminato e che svolgeva un lavoro attinente agli studi effettuati, avendo conseguito un diploma di laurea triennale, pur se iscritto all'università per la specializzazione).
In caso di assegnazione della casa familiare il diritto di abitazione del coniuge assegnatario non si concreta senza l'allontanamento dell'altro coniuge. Ciò consente l'esecuzione forzata del provvedimento che dispone l' assegnazione , con il conseguente adeguamento della realtà al "decisum", anche se il profilo della condanna al rilascio non sia stato esplicitato nel provvedimento. La revoca dell' assegnazione determina una situazione eguale e contraria in capo al coniuge che ha perduto il diritto di abitare la casa familiare, essendo la condanna al rilascio implicita, sia quando quel diritto viene attribuito, sia quando viene revocato.
In tema di assegnazione della casa familiare, inizialmente disposta come nella specie con ordinanza del presidente del tribunale e poi oggetto di revoca , da parte del tribunale, con la sentenza che definisce il processo di separazione personale tra i coniugi, la natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell'art. 155 quater c.c., è tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare e, corrispondentemente, quando esso cessa di esistere per effetto della revoca, determina una situazione simmetrica in capo a chi lo ha perduto, con necessario allontanamento da parte di questi; ne consegue che il provvedimento ovvero la sentenza rispettivamente attributivi o di revoca costituiscono titolo esecutivo, per entrambe le situazioni, anche quando l'ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato.
Nel giudizio di separazione dei coniugi, il provvedimento che ordina la revoca dell' assegnazione della casa familiare, ancorché privo della condanna per il coniuge ex affidatario all'allontanamento, costituisce comunque titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile.
La revoca dell' assegnazione della casa familiare, contenuto nella sentenza con cui il tribunale definisce il giudizio di separazione tra coniugi, costituisce titolo idoneo per il rilascio, senza necessità che, con la pronuncia, sia esplicitato altresì un apposito comando, rivolto al coniuge ex assegnatario e diretto al suo allontanamento dall'immobile.
Il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato espletato attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, atteso che non può avere rilievo il successivo abbandono dell'attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di una scelta che, se determina l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno.
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