Nella separazione dei coniugi, in assenza di coabitazione con il nuovo partner, non può escludersi il diritto della donna all’assegno di mantenimento se non si dimostri in maniera rigida e specifica il comune intento della nuova coppia di dar vita ad una stabile comunione di vita ed alla costituzione di un nuovo nucleo familiare, non essendo sufficienti i viaggi compiuti insieme, la partecipazione economica dell’uomo alle spese sostenute dalla donna, l’assidua frequentazione con accollo di oneri economici.
È viceversa necessario dimostrare, dopo la sentenza di separazione che la nuova coppia abbia istaurato una vera e propria famiglia di fatto con un diverso progetto di vita, la condivisione di nuovi bisogni, interessi, abitudini, attività e relazioni sociali tali da comportare il superamento del modello familiare cui era improntato il precedente rapporto, escludendosi ogni automatismo tra l’instaurazione di una nuova relazione sentimentale e la perdita del diritto all’assegno, ma dovendosi dimostrare che il nuovo legame presenti carattere di stabilità e continuatività configurabile anche in assenza di coabitazione con il partner, quale nuova comunione di vita e nuova famiglia.
Va esclusa l’attribuzione di un assegno alla moglie in sede di separazione, pur in presenza di una elevata capacità patrimoniale del marito, allorchè questa sia titolare di una propria abitazione e possegga titoli di studio e capacità lavorative adeguate a procacciarsi un sufficiente reddito. Inoltre va tenuto conto della breve durata del matrimonio e soprattutto che durante il processo la donna non ha lealmente collaborato per la esatta ricostruzione dei propri beni, per di più omettendo di depositare gli estratti del proprio conto bancario, pur se richiesti dal tribunale.
Va respinta la richiesta del marito il quale contesti le somme estremamente rilevanti attribuite dai giudici alla moglie per mantenere il pregresso tenore di vita (si trattava della separazione di Silvio Berlusconi). Infatti il nuovo orientamento della Cassazione circa l’indipendenza economica da prendere quale riferimento per attribuire o meno l’assegno divorzile, non si applica alla separazione. Ciò in quanto il divorzio annulla il matrimonio, mentre la separazione lo pone in uno stato di quiescenza.
Allorché i coniugi mantengano un elevato tenore di vita prima della separazione, assicurato in maniera principale dai rilevanti redditi di cui godeva la moglie, coniuge economicamente più forte, il marito ha diritto ad un adeguato assegno di mantenimento. Legittimamente la Corte di Appello ha disposto un aumento di tale assegno ad € 2.000,00 mensili, allorché il marito dimostri di essere stato licenziato dall’azienda presso la quale lavorava e di essere stato posto in mobilità.
E’ legittimo aumentare l’assegno di divorzio allorchè il coniuge obbligato percepisca un’eredità, prima non considerata, che incrementa il divario delle condizioni economiche preesistenti. Ciò perché le potenzialità economiche di ciascuno debbono essere valutate in concreto nel loro ammontare da qualsiasi fonte pervengano i benefici economici.
Anche se un coniuge acquista delle quote di fondi comuni di investimento con i proventi della propria attività professionale, questi entrano a far parte della comunione legale di cui all'art. 177, comma 1, lett. a), c.c.. I crediti, così come i diritti a struttura complessa come i diritti azionari, in quanto "beni" ai sensi degli artt. 810, 812 e 813 c.c., sono suscettibili di entrare nella comunione, ove non ricorra una delle eccezioni alla regola generale dell'art. 177 c.c., poste dall'art. 179 c.c.
Lo scioglimento della comunione legale dei beni tra i coniugi si verifica "ex nunc" con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale; poiché l'appello proposto con esclusivo riferimento all'addebito, all'affidamento dei figli e agli aspetti economici della separazione segna acquiescenza alla pronuncia sulla separazione, e quindi definitività della stessa, quale parte autonoma della decisione, deve escludersi che la pendenza del gravame su tali aspetti precluda il passaggio in giudicato della separazione stessa e impedisca la cessazione del regime di comunione legale, cessazione alla quale si riconnettono l'inoperatività del complesso normativo di cui agli art. 177 ss. c.c. e l'automatica instaurazione delle regole proprie della comunione legale, ivi compresa quella, ex art. 1103 c.c., che abilita ciascun contitolare a disporre del suo diritto nei limiti della quota senza il consenso dell'altro comunista.
Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, con effetto ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione degli accordi di separazione consensuale, non spiegando, per converso, alcun effetto, al riguardo, il provvedimento presidenziale di cui all'art. 708 del codice di rito autorizzativo dell'interruzione della convivenza tra i coniugi, attesone il contenuto del tutto limitato e la funzione meramente provvisoria.
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