In tema di divorzio , la formula usata dal legislatore nell'art. 12 bis, aggiunto alla l. 1 dicembre 1970 n. 898 dall'art. 16 l. 6 marzo 1987 n. 74, per attribuire al coniuge il diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto, è analoga a quella usata dal precedente art. 9, il quale subordina il diritto alla pensione di reversibilità , ovvero ad una quota di essa, alla circostanza che il coniuge superstite divorziato sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5 della medesima legge, cioè "all'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale" (art. 5 l. 28 dicembre 2005 n. 263); ne discende, da ragioni d'ordine logico-sistematico, non potendosi dare, nell'ambito del medesimo testo legislativo e senza alcuna ragione, una diversa interpretazione a norme di uguale tenore, che il sorgere del diritto alla quota dell'indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, ma presuppone che l'assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio ai sensi dell'art. 5 citato ovvero successivamente quando si verifichino le condizioni per la sua attribuzione ai sensi dell'art. 9 citato.