Una delle questioni maggiormente dibattute e che trovano decisioni spesso contrapposte nell’ambito anche dello stesso Tribunale è quella dell’età in cui il minore può considerarsi abbastanza grande per passare le notti con il padre durante il periodo di frequentazione statuito dal Tribunale.
La Corte Suprema con l’ordinanza n. 19069 pubblicata l’11/07/2024 ha sostanzialmente confermato la decisione della Corte d’Appello secondo la quale prima, dei tre anni, nonostante il principio di bigenitorialità, il bambino non sia in grado di sopportare l’allontanamento dalla madre.
La vicenda posta all’attenzione della Cassazione è estremamente frequente nelle aule di Giustizia e nasce dal contrasto che frequentemente avviene in una separazione, allorchè la madre lotta estenuante per ritardare il più possibile il pernottamento dei figli con il padre ritenendolo assolutamente inaffidabile e creando un collegamento fra disistima per il padre e contestualmente il senso di protezione materno che spinge, in molti casi, la donna ad opporsi violentemente e talvolta irrazionalmente ad ogni allontanamento del bambino dall’ambito materno
AFFIDAMENTO – COLLOCAMENTO E RESPONSABILITA’ GENITORIALE
Sia in tema di separazione che di divorzio che ovviamente di tutela dei figli nati al di fuori del matrimonio, i provvedimenti che il Tribunale deve assumere, pienamente confermati dalla Riforma Cartabia, sono quelli che riguardano l’affidamento, il collocamento (la residenza privilegiata) e la responsabilità genitoriale (ex potestà genitori).
Gli altri provvedimenti, sempre a tutela del minore, riguardano i diritti del coniuge non collocatario e quindi il diritto di visita e di avere con sé i figli e quelli relativi ai diritti degli ascendenti e degli altri parenti.
Seguono poi i provvedimenti di eventuale assegnazione alla ex casa coabitazione e quelli di natura economica che sono i più combattuti e sui quali si annovera il numero maggiore di decisioni che riguardano la determinazione ed il mantenimento per i figli.
L’affidamento (custodia dei figli) di norma viene concesso sempre condiviso, con il compito attribuito a ciascun genitore, quale custode della prole, di provvedere a tutti gli incombenti necessari per un’esistenza serena dei figli.
Così attribuendo l’affidamento in modo condiviso si intende attribuire il compito di custodia della prole sia al padre che alla madre.
Estremamente importante è viceversa il collocamento e cioè la residenza che viene attribuita al minore.
Una volta determinato infatti l’affidamento che di norma, salvo casi particolari, resterà attribuita ad entrambi i genitori, resta il problema per il giudice di accertare, indicandolo, il genitore presso il quale andranno a stabilirsi i figli (cosiddetto genitore collocatario) determinando i tempi e le modalità della loro presenza presso il prescelto, fissando poi la misura ed il modo della contribuzione per il mantenimento, la cura, l’istruzione e l’educazione dei figli.
L’art. 337 ter c.c. integrato dalla riforma Cartabia, statuisce espressamente che il Giudice “Determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura ed il modo con cui ciascuno di essi debba contribuire al mantenimento, alla natura, all’istruzione ed all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrario all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti fra i genitori...”.
In genere i figli quanto meno prima del periodo adolescenziale, vengono collocati presso la madre, ritenuta giustamente il genitore del quale maggiormente il bambino necessita.
Non vi è dubbio che, preferendo la madre, si ottemperi perfettamente al principio normativo che impone di perseguire soltanto l’interesse del minore (ex multis Cass. 14/09/2016 n. 18087).
In ogni caso è importante precisare che i provvedimenti a tutela dei minori non possono mai essere assunti ed intesi come premio o punizione per l’uno o per l’altro genitore, ma devono sempre essere ispirati al criterio del minor danno che i figli possono derivare dalla disgregazione familiare.
Quindi il giudice deve sempre prescindere anche dalle colpe dell’uno o dell’altro genitore nel fallimento dell’unione così come deve prescindere dall’interesse delle parti ma anche da un eventuale accordo.
Risolto il problema del collocamento che è di estrema importanza anche perché il collocamento comporta anche l’attribuzione della ex casa coniugale o di convivenza e l’attribuzione dell’assegno di mantenimento per il figlio, l’altro problema è quello di determinare il periodo di frequentazione per il padre,
LA FREQUENTAZIONE PATERNA ED IL DIRITTO AL PERNOTTAMENTO
Quanto ai diritti del genitore non collocatario l’art. 337 ter c.c. statuisce espressamente che il giudice, dopo aver provveduto all’affidamento ed al collocamento ed alla responsabilità genitoriale “...determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore”.
Il cosiddetto diritto di vista per il genitore non collocatario, (più esattamente va definito un diritto/dovere, tant’è che il mancato esercizio della frequentazione dei minori viene sanzionato dalla legge ex art. 473 bis.39 c.p.c.) è il meccanismo che ha il genitore non collocatario di mantenere i rapporti con i figli.
In tal maniera egli può, oltre che frequentarli, controllare che vengano seguiti dall’altro e soprattutto garantire loro la reale presenza di entrambe le figure genitoriali necessarie per un corretto sviluppo psicofisico (cd. bigenitorialità).
Frequentemente ed è questo l’oggetto della causa di cui ci occupiamo, allorchè i bambini sono particolarmente piccoli non possono staccarsi dall’ambito materno per passare la notte con il padre e la pretesa viceversa di quest’ultimo di ottenere il pernottamento dà luogo costantemente a questioni e contrasti anche in ambito giudiziario.
GLI OSTACOLI FRAPPOSTO ALAL MADRE
Accade purtroppo spesso che, soprattutto per i bambini in tenera età dunque, la madre tende ad impedire tale diritto di pernottamento del padre con vari stratagemmi, in alcuni casi apparenti, in altri rifiutando esplicitamente i contatti con l’altro genitore.
Ciò si verifica perché la madre vive in uno stato di ansia con il timore che l’altro genitore possa pregiudicare la salute e la serenità del bambino ritenendo l’ex compagno assolutamente inadatto a qualsiasi contato con il minore e manifestando il proprio senso materno e di protezione in modo ossessivo, finendo con il pregiudicare gli interessi dell’altro genitore ed ovviamente del figlio che necessita di entrambi le figure genitoriali.
Si arriva a situazioni di vero e proprio mobbing nel senso che di fatto, con varie giustificazioni, si cerca in tutte le maniere di evitare o ridurre i contatti con il padre.
Non è infrequente che, pur di contrastare le visite del padre, si ricorre infatti a trucchi e stratagemmi, sostenendo per esempio che il bimbo è malato, che in quel momento deve provvedere agli studi, che non è in grado di incontrare il padre perché deve frequentare i suoi amici o è impegnato in altra attività e comunque con giustificazioni similari.
Si arriva anche a situazioni di limite in cui la madre, pur di evitare il pernottamento si allontana dalla propria abitazione cercando di trasferirsi in una località più lontana proprio al fine di inibire ogni contatto.
Talvolta tale impedimento è collegato non solo alla scarsa fiducia o alla disistima o all’odio addirittura verso l’altro genitore, ma anche allorché non si voglia far frequentare al proprio figlio la nuova compagna del padre, ritenendola una figura deleteria e comunque responsabile del fallimento dell’unione.
In questa maniera il bambino diventa sostanzialmente un mezzo di punizione nei confronti dell’altro genitore dando luogo a problematiche psicologiche non indifferenti al punto che il bambino viene sballottato fra le decisioni del padre di presentargli la nuova compagna come una persona di famiglia e la madre che viceversa la definisce come responsabile del fallimento dell’unione o peggio, e del fatto che il bambino abbia “perso il papà” proprio per tale nuova relazione.
Tralasciamo i casi limiti in cui, pur di evitare i contatti, si arriva addirittura a denunciare il padre con accuse ingiuste o assolutamente infondate di maltrattamenti, abusi o similari.
IL CASO ESAMINATO
La questione posta all’attenzione della Cassazione era simile a tante altre.
Si trattava di un bambino di poco più di due anni all’epoca del giudizio di impugnazione, per il quale il giudice del Tribunale e poi la Corte d’Appello non hanno permesso il pernottamento, limitando tale diritto fino al compimento del terzo anno di età.
Era statuita comunque la possibilità per il padre di tenere con sé il figlio due pomeriggi a settimana ed un fine settimana alternato all’altro come sempre riportandolo a casa il sabato e la domenica e per un periodo estivo, sempre tuttavia senza pernottamento e così per il periodo natalizio e pasquale.
Il padre impugnava la decisione della Corte d’Appello rilevando che già il magistrato precedente aveva individuato come ex casa comune quella della nonna materna e non quella dove viveva il padre, perdendo così il bambino ogni riferimento con la precedente abitazione, ma soprattutto rilevava che l’averlo privato della possibilità di dormire con il bambino, appariva contraddittorio, anche perché essendo l’abitazione distante oltre un ora di auto l’obbligo di prendere e portare il minore posto totalmente a carico del padre, svuotava nella sostanza il diritto di visita del ricorrente, atteso che la notevole sostanza fra le abitazioni comportava, di fatto, la violazione del diritto del minore di vedersi garantita l’habitat familiare presso la casa paterna ed ovviamente la frequentazione.
Dati i ristretti tempi di visita concessi (dalle 16:00 alle 20:30) e l’impossibilità dei pernottamenti, di fatto, eccepiva il ricorrente, il padre ed il figlio erano costretti a frequentarsi nell’autovettura lungo il tragitto o, in alternativa, all’interno di un centro commerciale o in abitazioni promiscue dove la cena del minore veniva consumata in luoghi tutt’altro che confacenti all’habitat familiare o peggio ancora alla sua età.
Il ricorrente sostanzialmente denunciava la violazione del principio di bigenitorialità e sollecitava il riconoscimento del proprio diritto.
La Cassazione rigettava il ricorso ritenendo che sostanzialmente il padre stava richiedendo un riesame dell’intera questione nel merito, cosa che era preclusa alla Corte Suprema.
In ogni caso, la valutazione circa i pernotti presso il padre, se da un lato era limitativa, tuttavia tenuto conto dell’età del bambino, non poteva non essere condivisa.
La circostanza che i giudici di merito avevano ritenuto che l’estensione dei pernotti presso l’abitazione del padre non fosse conciliabile con la tenera età del figlio al momento della presentazione del ricorso, va sicuramente condivisa anche perché la Corte di merito aveva espressamente limitato tale situazione fino al terzo anno di età del bambino e quindi in sostanza il disagio era estremamente limitato nel tempo.
Quindi in ultima analisi la Cassazione riteneva che fosse perfettamente condivisibile la decisione della Corte d’Appello che aveva fatto decorrere il diritto di pernottamento del bambino con il padre solo “al compimento del terzo anno di età”