Nell’ambito della nuova normativa di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 146, il diritto di famiglia è sicuramente una delle materie che ha subito in modo più incisivo l’intervento della nuova normativa.
Ciò avviene almeno sotto quattro rilevanti profili.
Da un lato con l’introduzione di un rito unico per tutte le controversie in materia di diritto di famiglia, persone e minori.
Si tratta di un’innovazione estremamente importante in quanto mette fine alla estrema diversificazione dei procedimenti, processo di cognizione, separazione e divorzio con la fase presidenziale, camera di consiglio per l’affidamento dei figli naturali, ecc.
Dall’altro, accentua enormemente la figura del minore con il suo diritto alla partecipazione al processo ed all’ascolto, in alcuni casi con la nomina obbligatoria di un tutore o di un curatore.
L’altra novità è la previsione della mediazione familiare.
Mediazione familiare che però non va interpretata come un sistema di risoluzione alternativa della controversia essendovi sempre la necessità dell’imprimatur da parte del magistrato.
In quarto luogo più incisiva è divenuta la normativa in tema di attuazione dei provvedimenti assunti dal giudice e soprattutto la nuova disciplina per inibire gli atteggiamenti di prevaricazione o violenza, dedicando interamente una sezione alle violenze domestiche o di genere prevedendo un canale processuale privilegiato e più celere che si salda con le azioni previste in ambito penale delle riforme.
IL PROCEDIMENTO IN MATERIA DI PERSONE, MINORENNI E FAMIGLIE
Con l’introduzione del titolo IV bis nel Codice di Procedura Civile sono stati inseriti gli artt. da 473 bis fino a 473 bis.71 riunendo per la prima volta in un quadro unico tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni ed alle famiglie, già attribuiti alla competenza del Tribunale Ordinario, del Giudice tutelare e del Tribunale per i Minorenni, con esclusione dei soli procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, alla adozione dei minori di età e con esclusione dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini nell’Unione Europea.
Dunque la nuova procedura si applica non solo ai ricorsi in tema di separazione, divorzio e provvedimenti relativi ai figli nati al di fuori del matrimonio, nonché alle modifiche dei provvedimenti emessi in tal senso, ma anche ai procedimenti di competenza del Tribunale per i minorenni e di quelli del Giudice Tutelare.
Restano invece fuori tutti i procedimenti a carattere non contenzioso e quindi di giurisdizione volontaria che continuano ad essere regolamentati nelle forme processuali della Camera di Consiglio.
IL MINORE AL CENTRO DEL PROCESSO
Come si accennava un altro punto estremamente importante della riforma è quello che pone il minore al centro dell’attenzione del Tribunale.
Ciò avviene sia con gli artt. 473 bis.4, 473 bis.5, 473 bis.6 c.p.c. che regolamentano l’ascolto del minore, sia con l’art. 473 bis.11 c.p.c. che precisa come in tutti i procedimenti nei quali debbano essere adottati i provvedimenti che riguardino i minori, resta sempre competente il Tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale e, se vi è stato il trasferimento del minore non autorizzato, e non è decorso un anno, rimane competente il Tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore. Altrettanto rilevante è l’obbligo della nomina di un tutore o di un curatore in specifiche ipotesi e non da ultimo con l’accentuazione della mediazione familiare che, come si diceva, pur non costituendo un istituto di risoluzione alternativa della controversia; tuttavia, cerca di ricostruire in qualche maniera, una relazione fra le parti, soprattutto nell’interesse dei figli.
L’ASCOLTO DEL MINORE
Viene rafforzato l’orientamento della Cassazione e le disposizioni legislative già in essere, prevedendo che il minore, allorché abbia compiuto 12 anni ed anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardino.
Gli unici casi nei quali il minore non viene ascoltato, sono quelli in cui l’ascolto è manifestamente superfluo ovvero se il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato ed infine se l’ascolto del minore appaia in contrasto con l’interesse dello stesso.
Di norma il minore non viene ascoltato nell’ipotesi di separazione consensuale o comunque di accordo tra i genitori relativo all’affidamento ed agli altri provvedimenti sui figli, ma in questo caso resta salva la volontà del giudice di decidere diversamente.
Sono importanti le norme di cui agli artt. 473 bis.5 e .6 che riguardano alcune problematiche che si erano verificate già in precedenza circa le modalità di ascolto del minore.
Infatti, viene precisato che l’ascolto del minore deve essere effettuato personalmente dal magistrato il quale comunque può sempre farsi assistere da esperti o altri ausiliari e, in caso di più minori, l’ascolto deve essere fatto separatamente.
Va tenuto conto, inoltre, degli impegni scolastici dei figli; vanno utilizzati locali idonei e, prima di procedere all’ascolto, il giudice deve indicare i temi oggetto dell’adempimento ai genitori ed agli atri esercenti la potestà genitoriale nonché ai difensori, al fine di permettere loro di introdurre argomenti o temi di approfondimento, che andranno comunque autorizzati dal giudice.
Il minore che abbia compiuto i 14 anni deve essere informato sulle possibilità di poter chiedere la nomina di un curatore speciale che tuteli i suoi interessi.
Dell’ascolto del minore, inoltre, ed anche questo è un punto importante, deve essere effettuata una registrazione audiovisiva o quantomeno un processo verbale dettagliato.
Un altro intervento importante della normativa in tema di minori è quello dell’art. 473 bis.6 che riguarda un caso piuttosto frequente nella realtà giudiziaria e cioè allorché il minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori.
In tal caso la norma prevede che il giudice deve provvedere all’ascolto senza ritardo e ad assumere le sommarie informazioni sulle cause del rifiuto, potendo disporre l’abbreviazione dei termini processuali.
La stessa procedura vale nell’ipotesi in cui emergano condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o tali da pregiudicare i rapporti con gli ascendenti e gli altri parenti.
LA MEDIAZIONE FAMILIARE
L’altro istituto finalizzato ad una soluzione conciliativa delle controversie ed alla tutela della prole è quello della mediazione familiare.
La nuova normativa ha dato rilevante accentuazione a tale figura ed addirittura ne ha regolamentato il funzionamento con le Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile al Titolo secondo capo 1 bis, artt. da 12 bis a 12 quinquies, ove alla mediazione familiare sono dedicati appunto i cinque articoli suddetti.
Presso ogni Tribunale è prevista l’istituzione dell’elenco dei mediatori, i quali dovranno garantire determinate caratteristiche di professionalità, indicate dalla norma.
Il giudice può in qualsiasi momento informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare invitandole a rivolgersi ad un mediatore da loro prescelto dall’elenco del Tribunale.
Precisa ancora la norma che, qualora il giudice ne ravvisi l’opportunità, ottenuto il consenso delle parti può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 473 bis.22 (mancata conciliazione dei coniugi ed assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti) al fine di consentire alle parti di tentare una conciliazione mediante il mediatore.
In realtà la norma, che si muove nel solco di una soluzione concordata della controversia, (mediazione e negoziazione assistita), di fatto ha più che altro un carattere programmatico, ma a nostro parere scarsamente pratico.
Infatti, è di tutta evidenza che, se i coniugi o i conviventi sono finiti avanti al Tribunale, nonostante l’assistenza dei propri difensori e richiedano un provvedimento del giudice, evidentemente non sono riusciti a raggiungere alcun accordo sui punti rilevanti della controversia.
Appare estremamente improbabile dunque che, a metà processo, in attesa del provvedimento richiesto, intendano perdere ulteriore tempo per sottoporsi ad una mediazione che già è stata espletata dai rispettivi difensori e dunque appare assolutamente inutile.
IL TUTORE ED IL CURATORE
La nuova normativa prevede la figura del tutore e del curatore del minore.
Il tutore (art. 473 bis.7 c.p.c.) viene sempre nominato allorché il giudice, anche se con provvedimento temporaneo, disponga la sospensione o la decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi.
Il curatore viceversa viene nominato quando venga disposta la limitazione della responsabilità genitoriale, determinando il soggetto presso cui il minore manterrà la residenza, i poteri del curatore, l’obbligo di riferire al giudice circa l’andamento degli interventi ed i rapporti del minore con il genitore.
Il curatore speciale (previsto dall’art. 473 bis.8 c.p.c.), viceversa viene nominato anche d’ufficio, a pena di nullità degli atti, nei casi in cui vi sia la richiesta del pubblico ministero di decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori o nei casi in cui uno dei genitori abbia richiesto la decadenza dell’altro, ovvero allorché nei fatti emersi nel procedimento, venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore, tale da precluderne l’adeguata rappresentanza da parte di entrambi i genitori.
Il giudice può inoltre nominare il curatore speciale in tutti i casi nei quali i genitori appaiano, per gravi ragioni, temporalmente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore.
LA DOMANDA INTRODUTTIVA
Il ricorso secondo il nuovo rito deve contenere non soltanto le normali indicazioni tipiche di ogni atto introduttivo (ufficio a cui è rivolta la domanda, parti, nominativo del difensore, descrizione dei rapporti familiari, ecc.), ma altresì la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda con le relative conclusioni e soprattutto devono essere indicati in modo specifico i mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi ed i documenti offerti in comunicazione.
Al ricorso, allorché vi siano domande di contenuto economico, in presenza dei figli minori, vanno allegati i documenti reddituali, vale a dire la dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità dei diritti reali sui beni immobili e sui beni mobili registrati, nonché la proprietà di quote sociali, gli estratti conto dei rapporti bancari ed in sostanza il ricorso deve essere completo di ogni elemento utile a fornire al magistrato un quadro della situazione già alla prima udienza.
La domanda va depositata al giudice competente insieme con la documentazione indicata ed il presidente entro tre giorni deve assegnare la trattazione del procedimento ad un giudice relatore, fissando l’udienza di prima comparizione ed assegnando il termine per la costituzione del convenuto con l’avvertimento che la costituzione tardiva comporterà le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria.
Il ricorso con il decreto di fissazione d’udienza va notificato al convenuto a cura dell’attore con il rispetto di un termine non inferiore a 60 giorni liberi.
Il decreto viene comunicato direttamente dalla cancelleria al pubblico ministero.
IL PIANO GENITORIALE
Ulteriore novità rispetto alla precedente normativa è che al ricorso introduttivo deve essere allegato il cosiddetto “piano genitoriale”.
Con tale termine si indica in sostanza un documento che indichi al magistrato la situazione reale, vale a dire gli impegni e le attività quotidiane dei figli relativamente al percorso scolastico ed educativo, le attività extrascolastiche, quelle ludiche, le frequentazioni abituali, ecc.
Lo scopo del piano genitoriale, prima inesistente, è quello di illustrare al magistrato non solo gli aspetti tecnici e giuridici della richiesta delle parti, ma anche per mettere il giudice in condizioni di valutare la situazione reale e di fatto nella quale si trovano i figli, creando un quadro a 360° che dovrebbe consentire al giudice le determinazioni più consone e rispondenti alle esigenze della prole.
L’AUTONOMIA DEL GIUDICE
La causa è sempre proposta al Collegio, mentre l’istruzione e la trattazione del procedimento viene attribuita ad un giudice delegato per evidenti motivi di celerità.
Al magistrato sono attribuiti ampi poteri.
Così come in precedenza e, secondo l’attuale orientamento giurisprudenziale, egli può assumere provvedimenti per ciò che riguarda la tutela dei figli, anche indipendentemente dalle richieste delle parti.
In particolare il giudice a tutela dei minori, può nominare d’ufficio il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, può ammettete e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal Codice Civile nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria e può, per ciò che riguarda le domande di contributo economico, disporre anche d’ufficio l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, le indagini sui redditi e sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita anche nei confronti di terzi, servendosi, ove occorra della polizia tributaria o di altri strumenti, quali consulenti tecnici e simili.
In sostanza il magistrato conduce il processo in modo specificatamente finalizzato alla tutela dei figli.
Egli può disporre l’ascolto del minore, adottare i provvedimenti immediatamente necessari ed indifferibili, ammettere i mezzi istruttori, la consulenza tecnica e così modificare i precedenti provvedimenti, ove ne ricorrano i presupposti.
Resta fuori ovviamente la decisione della causa che rimane riservata al Collegio.
LA COSTITUZIONE DEL CONVENUTO E L’ISTRUTTORIA
Il convenuto si deve costituire nel termine assegnato dal giudice depositando la comparsa di costituzione e risposta e gli stessi documenti previsti per il ricorrente.
Esaminata la difesa avversaria, l’attore entro 20 giorni prima della data d’udienza può depositare memoria, prendendo posizione sui fatti dedotti dal convenuto, nonché a pena di decadenza, modificando o precisando la domanda, le conclusioni già formulate, proponendo le domande e le eccezioni che sono conseguenza della difesa del convenuto ed indicare tutti i mezzi di prova che si intendono utilizzare.
Dieci giorni prima della data dell’udienza il convenuto può a propria volta, depositare ulteriore memoria con cui precisare e modificare la domanda, proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenti alla domanda riconvenzionale o delle difese svolte dall’attore ed indicare a propria volta i propri mezzi di prova.
Infine, entro 5 giorni prima della data dell’udienza l’attore può depositare un’ulteriore memoria con le sole indicazioni di prova contraria rispetto a quanto dedotto dal convenuto.
Questo sistema di una fase istruttoria precedente all’udienza ricalca lo stesso sistema dell’ordinario nuovo processo di cognizione, e fa si che il giudice all’udienza, abbia già un quadro completo di tutta la situazione e dei punti di contrasto e quindi possa intervenire con cognizione di causa.
IL DOVERE DI BUONA FEDE E COLLABORAZIONE
Innovativa è anche la norma di cui all’art. 473 bis.18 laddove è espressamente statuito che il comportamento della parte la quale, in ordine alle proprie condizioni economiche, renda informazioni o effettui produzioni documentali non esatte o non complete, può essere valutato dal giudice ai sensi del II comma dell’art. 116 c.p.c. vale a dire che il giudice possa desumere argomenti di prova dai comportamenti processuali o dal rifiuto di una delle parti, potendo condannare alle spese e poi danni anche ex art. 96 c.p.c. allorché ritenga che una parte abbia agito con colpa grave e malafede.
LA COMPARIZIONE DELLE PARTI
Sussiste l’obbligo delle parti di comparire personalmente salvo gravi e comprovati motivi.
La mancata comparizione personale senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai fini della formazione della prova e della liquidazione delle spese.
Il giudice è comunque tenuto a tentare la conciliazione delle parti alla presenza dei difensori.
Di estremo interesse è inoltre la previsione della formulazione della motivata proposta.
Tale facoltà, che in certi casi può diventare quasi come anticipazione di sentenza, è sicuramente rilevante ai fini della definizione della lite.
In ogni caso se la conciliazione non riesce, il giudice, assunte formali informazioni e ferma restando la facoltà di emettere provvedimenti indifferibili ante causam, in caso di pregiudizio imminente ed irreparabile ex art. 673 bis .15, emetterà con un’ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti e nei limiti delle domande avanzate.
Rilevante è la previsione che, nel caso di fissazione di un contributo economico il magistrato deve anche determinare la data di decorrenza del provvedimento con facoltà di farlo retroagire fino alla data della domanda iniziale.
A differenza di ciò che avveniva in precedenza, è previsto come l’ordinanza costituisca ab initio titolo esecutivo anche ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca giudiziale e conservi la propria efficacia pur dopo l’estinzione del processo fino a che non sia sostituita da una decisione definitiva.
Inoltre il giudice emetterà i provvedimenti necessari all’istruzione della causa determinando, così come nel processo di cognizione, un calendario del processo, fissando quindi entro 90 giorni l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi.
Allorché la causa sia matura per la decisione, il giudice fatte precisare le conclusioni, disporrà la discussione orale della causa e tratterrà la causa in decisione al Collegio.
Diversamente ai sensi dell’art. 473 bis.28 c.p.c. fisserà l’udienza avanti a sé di remissione della causa in decisione ed assegnazione alle parti di un termine per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni ed un termine non superiore a 30 giorni per le comparse conclusionali e non superiore a 15 giorni per le memorie di replica.
Così come era in precedenza i provvedimenti sono sempre assunti rebus sic stantibus.
Quindi durante l’istruttoria i provvedimenti possono essere modificati o revocati sia dal Collegio che dal giudice delegato in presenza di fatti sopravvenuti o allorché sussistano successivi accertamenti istruttori.
Egualmente la sentenza, pur se passata in giudicato, potrà essere sempre modificata in presenza di un mutamento rilevante dei presupposti su quali era stata assunta la presente decisione.
LA CONSULENZA TECNICA ED I SERVIZI SOCIALI
La nuova normativa delinea perfettamente le modalità dell’intervento dei servizi sociali a differenza di come avviene attualmente.
Tale intervento è ammesso, ma subordinatamente e nei limiti in cui il giudice indichi in modo specifico l’attività ad essi demandata, fissando i termini entro i cui i servizi sociali e sanitari devono depositare la relazione, ed un termine alle parti per depositare memorie.
È altresì importante la specificazione, (data talvolta le irregolarità commesse dai S.S.) che, nelle relazioni debbano essere tenuti distinti i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che comunque devono essere fondate su dati oggettivi e su metodologie o protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica.
Ciò evita, così come avviene in taluni casi attualmente, che ci si trovi in presenza di relazioni sommarie o effettuate al di fuori degli orientamenti scientifici consolidati o basati su dati valutativi del tutto soggettivi privi di alcun riscontro.
È altresì importante la facoltà delle parti di poter estrarre copia delle relazioni e di ogni altro accertamento compiuto dai responsabili dei servizi sociali o sanitari trasmessi all’autorità giudiziaria.
Anche la consulenza tecnica d’ufficio, utilizzata con estrema frequenza allorché si debbano determinare i provvedimenti in tema di affidamento, collocamento e responsabilità genitoriale, deve essere ancorata a metodologie o protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica.
Quanto all’ascolto del minore da parte del magistrato, le indagini vanno svolte in orari compatibili con gli impegni scolastici o in modo da non pregiudicare la serenità del minore in modo adeguato all’età.
Anche in tal caso il consulente deve tenere distinti i fatti osservati direttamente dalle dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e dalle valutazioni da lui formulate, che devono poi sempre essere rapportate alle metodologie riconosciute dalla comunità scientifica, unitamente ad eventuali proposte di intervento e sostegno del nucleo familiare e del minore.
IL RECLAMO
Come in precedenza, contro i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal giudice delegato, può essere proposto il reclamo alla Corte d’Appello, relativamente alle statuizioni assunte dal giudice in via provvisoria.
Altrettanto per i provvedimenti temporanei in corso di causa che sospendano o introducano sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché per quelli che riguardino le modifiche all’affidamento, alla collocazione dei minori ovvero ne dispongano l’affidamento a soggetti diversi dai genitori.
Il termine del reclamo, con la normativa attuale, è limitato a 10 giorni che decorrono dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione della cancelleria o dalla notificazione se anteriore.
La Corte d’Appello può anche assumere autonomamente informazioni e può confermare, modificare o revocare il provvedimento, disponendo sulle spese dell’impugnazione.
Contro i provvedimenti di reclamo pronunciati in tal senso è sempre ammesso il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.
L’APPELLO
L’appello va proposto con ricorso contenente gli stessi requisiti all’atto introduttivo in primo grado. Il Presidente della Corte d’Appello entro 5 giorni nominerà il giudice relatore e fisserà l’udienza di comparizione.
Si tratta ovviamente di termini ordinatori.
Tra la data di notificazione dell’appello e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di 90 giorni.
L’ATTIVAZIONE DEI PROVVEDIMENTI
Con gli articoli che vanno dal 473 bis.36 al 473 bis.39 il legislatore si è preoccupato di dettare statuizioni più precise e dettagliate per ciò che riguarda l’attuazione dei provvedimenti.
Le norme distinguono ovviamente i provvedimenti di natura economica da quelli che riguardano la tutela della prole.
Quanto ai primi la disciplina ricalca sostanzialmente quanto sussisteva in precedenza.
La differenza sostanziale è che non vi è più una distinzione fra provvedimenti successivi alla sentenza e quelli emessi in corso di causa, in quanto tutti quanti, indistintamente, possono essere eseguiti e sono da considerarsi immediatamente esecutivi; di estrema rilevanza, come detto, è che, anche i provvedimenti provvisori, costituiscono titolo per l’iscrizione di ipoteca.
Inoltre il giudice può concedere l’autorizzazione al sequestro dei beni del debitore, sia per conservare le ragioni del credito, sia in caso di inadempimento.
È stato esteso il diritto previsto nella legge divorzile n° 898/70, nell’ipotesi di inadempimento, garantendo il diritto del creditore di agire tramite il proprio legale per il pagamento diretto a carico del terzo, di cui si parlerà ampiamente in seguito.
Quindi il coniuge o il genitore al quale spetti la corresponsione di una somma periodica, sia per sé che per i figli, dopo aver costituito in mora il debitore mediante una raccomandata o un atto notificato, decorsi trenta giorni notificherà il provvedimento al terzo tenuto a corrispondere periodicamente somme di denaro al debitore, (normalmente il datore di lavoro o per esempio un conduttore di un immobile di proprietà del debitore e non da ultimo anche l’ente previdenziale che versi il trattamento pensionistico all’obbligato), fermo restando il limite di non superare il 50% dell’intera somma versata.
Nel caso in cui sussista già un pignoramento sulle stesse somme, provvede il magistrato alla distribuzione tra il precedente creditore ed il genitore o il coniuge.
Tutt’altro discorso per ciò che riguarda i provvedimenti in tema di affidamento.
Innanzitutto la nuova normativa si preoccupa di individuare il giudice competente, ove siano sorti contrasti relativamente alla responsabilità genitoriale o comunque in tema di tutela dei minori, ma anche in presenza di situazioni oggettive che impediscano l’esecuzione dei provvedimenti stabiliti.
Se vi è un procedimento in corso è competente lo stesso giudice che decide in composizione monocratica.
Ove non penda più il procedimento nel merito, resta comunque competente, sempre in composizione monocratica, l’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento.
In caso di trasferimento del minore in forza del richiamo dell’art. 473 bis.11 c.p.c. resta competente il Tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale, mentre se vi sia stato un trasferimento del minore non autorizzato, e non sia decorso un anno, è competente il Tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento.
Il giudice, trattandosi di minori potrà anche emettete provvedimenti non richiesti alle parti e quindi d’ufficio, per l’esecuzione di quelli che ritiene essere gli atti necessari per l’attuazione del provvedimento emesso in favore dei figli.
Da notare, del resto così come si era orientata la giurisprudenza in precedenza, che l’ausilio della forza pubblica è un’ipotesi marginale ed ora il legislatore ammette tale coercizione soltanto in presenza di due elementi da valutare, da un lato l’assoluta indispensabilità del ricorso alla forza pubblica e dall’altra la salvaguardia della tutela psicofisica del minore.
Oltre all’obbligo della motivazione, il giudice che emette il provvedimento è tenuto a vigilare sull’esecuzione, nel caso servendosi anche del sostegno del personale sociosanitario ritenuto necessario.
Per ciò che invece riguarda gli inadempimenti alla frequentazione in rapporto a quanto statuito dal giudice in favore dei minori, la norma ricalca quella che era in precedenza, stabilendo che il giudice può disporre d’ufficio alternativamente o cumulativamente una serie di interventi, che vanno dall’ammonimento alla condanna, ad una sanzione pecuniaria o alla determinazione di una somma di denaro, in questo caso riportandosi all’art. 614 bis c.p.c. rapportata ad ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Può inoltre condannare l’inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria fino ad € 5.000,00.
Di particolare interesse è l’ipotesi, non infrequente ormai soprattutto a seguito dei matrimoni e delle convivenze miste, in cui sussista un pericolo attuale e concreto desunto, secondo la norma, da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte similari.
In tal caso il magistrato è tenuto a determinare le modalità di attuazione con decreto motivato, fissando l’udienza entro 15 giorni avanti a sé.
ORDINE DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI ED IN TEMA DI VIOLENZA DOMESTICA O DI GENERE
Con gli artt. 473 bis.69 e seguenti vengono riprese le norme, in origine previste dall’art. 342 bis c.c. sugli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
È rilevante che la norma risolva alcune problematiche che si erano poste nell’ambito dell’attivazione pratica degli istituti, per esempio in tema di adozione dei provvedimenti allorché la convivenza fra il responsabile dell’illecito e la vittima, fosse cessata.
La competenza è del Tribunale ordinario anche se è stato introdotto il coordinamento con la competenza del Tribunale dei Minorenni prevedendo che, ai sensi degli artt. 333 c.c. e 38 Disp. Att. c.c., gli stessi provvedimenti coercitivi nei confronti del responsabile, possono essere adottati su istanza del Pubblico Ministero e del Tribunale dei Minorenni.
Le altre norme si applicano se la condotta del coniuge o dell’altro convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge, o quando la condotta arrechi pregiudizio ai minori.
Il magistrato, se ritiene fondato il ricorso, ordina al soggetto responsabile la cessazione delle condotte disponendo l’allontanamento dalla casa familiare e prescrivendo, ove sussista necessità, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dal beneficiario dell’ordine di protezione, al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia, al domicilio dei prossimi congiunti o di altre persone, ovvero in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli.
Può essere disposto l’intervento dei Servizi Sociali, ma soprattutto di estremo interesse è la previsione che il giudice possa disporre il pagamento periodico di un assegno in favore delle persone conviventi che per effetto del provvedimento rimangano prive di “mezzi adeguati”, fissando le modalità ed i termini del versamento e prescrivendo, se necessita, che la somma venga pagata direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione.
I provvedimenti stabiliscono la durata dell’ordine di protezione che non può di norma essere superiore all’anno.
È interessante rilevare che l’istanza possa essere proposta anche dalla parte personalmente con ricorso al Tribunale del luogo di residenza o del domicilio dell’istante e soprattutto è previsto che il giudice possa provvedere direttamente nei modi che ritiene più opportuni all’istruzione necessaria, disponendo anche gli accertamenti tramite la polizia tributaria e simili.
Altrettanto rilevante è che il magistrato, assunte le sommarie informazioni, possa anche adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparazione entro il termine di 15 giorni ed assegnando un termine non superiore ad 8 giorni per la notificazione del ricorso e del provvedimento alla controparte.
Tale disciplina è connessa con gli artt. 473 bis.40 e seguenti, dedicati alle violenze domestiche e di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra, ovvero nei confronti dei minori.
La larghezza dell’ambito di applicazione “abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori” lascia aperta l’applicabilità della norma a qualsiasi forma di violenza o prevaricazione e permette al giudice di emettere i provvedimenti senza ritardo, attivando così la corsia privilegiata per tali statuizioni.
Il giudice inoltre per tutelare la personalità della vittima e garantirne la sicurezza può anche evitare la contemporanea presenza delle parti in udienza.
Nei casi di protezione contro gli abusi familiari, stanti i violenti contrasti, spesso le udienze in precedenza venivano discusse spesso con la presenza della forza pubblica in aula.
Inoltre il magistrato può disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal Codice Civile, pur nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.
Una tutela particolare è prevista per la vittima statuendo che il giudice ne debba garantire la sicurezza.
Per esempio allorché la vittima è inserita in collocazione protetta, il giudice deve disporre la secretazione dell’indirizzo ove dimora, mentre se è stata pronunciata già sentenza di condanna con determinazione della pena, anche non definitiva o provvedimento cautelare civile o penale, ovvero il processo penale penda in una fase successiva ai termini di cui al 415 bis c.p.p., il decreto di fissazione non deve contenere l’invito alle parti a rivolgersi ai mediatori familiari.
A tal uopo vi è l’espresso divieto di iniziare il percorso di mediazione familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena e, nel caso in cui siano pendenti, il mediatore familiare, è tenuto ad interrompere immediatamente il percorso.
Come detto il magistrato, che può farsi assistere anche da ausiliari dotati di specifiche competenze, può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli e può acquisire presso gli uffici pubblici i documenti che ritiene necessari o altri atti come per esempio le relazioni di servizio delle forze dell’ordine.
Il giudicante deve procedere personalmente e senza ritardo all’ascolto del minore, salvo quando ciò fosse già sia stato effettuato.
Allorché la domanda sia ritenuta fondata, il giudice deve emettere i provvedimenti previsti per gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.
SEPARAZIONE - DIVORZIO - SCIOGLIMENTO DELL’UNIONE CIVILE
Ferma restando la forma procedimentale unificata per tutte le azioni, in tema di diritto di famiglia, con gli artt. 473 bis .47 e seguenti il legislatore ha messo mano, con poche norme, inserendo alcune disposizioni necessarie, a ciò che riguarda specificatamente i procedimenti di separazione, divorzio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione della responsabilità genitoriale.
Ovviamente lo stesso procedimento vale per ciò che riguarda la modifica delle relative condizioni.
Innanzi tutto, quanto alla competenza, va sempre fatto riferimento al Tribunale di residenza del minore ed in mancanza di figli minori, diviene competente, secondo la norma generale il Tribunale del luogo di residenza del convenuto.
Come era in precedenza in caso di irreperibilità o residenza all’estero, è competente il Tribunale dell’attore o, se l’attore è residente all’estero, qualunque altro Tribunale della Repubblica.
Di estrema importanza è la produzione documentale che è quella prevista in tutti i procedimenti in tema di diritto di famiglia, vale a dire le dichiarazioni dei redditi, la documentazione attestante la titolarità dei diritti reali sui beni immobili o beni mobili registrati ed ancora su quote sociali e, come era in uso in precedenza in molti Tribunali, gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari degli ultimi tre anni.
La novità, come si è detto è che al ricorso va aggiunto il piano genitoriale e cioè praticamente una relazione che indichi gli impegni e le attività quotidiane dei figli relativi alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, frequentazioni e vacanze.
L’altra novità estremamente rilevante è che, per il principio di economia, possono essere cumulate le domande di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti del matrimonio direttamente in un unico atto.
Questo tuttavia non significa che non vadano rispettate le procedure previgenti.
Quindi il divorzio è procedibile soltanto allorché sia decorso il termine previsto dalla legge e quindi sia passata in giudicato la sentenza, (sei mesi dall’udienza per la consensuale ed un anno per quella giudiziale).
Sul punto dovrà sicuramente formarsi una adeguata giurisprudenza.
Manca apparentemente la fase presidenziale, ma sostanzialmente è stata sostituita dalla norma di cui all’art. 473 bis.50, essendo rimasta evidente l’esigenza che, alla prima udienza, il giudice emetta i provvedimenti necessari per regolamentare i rapporti.
Il giudice potrà indicare le informazioni che ciascun genitore e tenuto a comunicare all’altro e soprattutto può formulare proposte su piano genitoriale, tenendo conto di quanto depositato dalle parti.
In caso di accettazione il mancato rispetto delle condizioni previste dal piano genitoriale, costituisce comportamento valutabile come grave inadempienza con tutte le conseguenze di cui all’art. 473 bis.39.
Quindi il Tribunale può ammonire l’inadempiente, individuare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza anche successiva o per il ritardo e condannare ad una sanzione amministrativa fino ad un massimo di € 5.000,00.
Quanto alle procedure consensuali provvede l’art. 473 bis.51.
Reiterando la possibilità che il ricorso venga presentato da entrambi, la norma prevede tuttavia, a modifica di quanto avviene attualmente in molti Tribunali, che debbano essere allegate anche in caso di domande congiunte, tutte le indicazioni circa le disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio, riservando comunque al Tribunale ogni valutazione sulla congruità delle condizioni, ad evitare che uno dei due rimanga danneggiato da condizioni particolarmente vessatorie.
È prevista la regolamentazione anche dei rapporti patrimoniali.
Così come avviene frequentemente si può prevedere il trasferimento dei beni immobili o dei beni mobili registrati in esenzione di imposta.
Altra novità è quella della facoltà che viene concessa alle parti di sostituire l’udienza con la comparizione personale degli interessati, con il semplice deposito delle note scritte; in questo caso ne va fatta espressa richiesta.
Il procedimento deve essere deciso con sentenza che può accogliere con omologazione gli accordi intervenuti fra le parti, ovvero può disporre che gli interessati vengano riconvocati indicando loro le modificazioni da adottare.
LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA NEL DIRITTO DI FAMIGLIA
L’art. 6 del D.L. 19/09/2014 n° 132 convertito nella legge n° 162/2014 ha introdotto la convenzione di negoziazione assistita, con l’ausilio di un avvocato per parte.
Il procedimento in origine previsto soltanto per ciò che riguardava la separazione ed il divorzio dei coniugi e quindi per i matrimoni civili o concordatari, in seguito veniva esteso anche ai procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio ai sensi dell’art. 1 comma 35 della legge n° 206/2021 che appunto estendeva l’applicabilità del procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia anche per la regolamentazione dell’affidamento e mantenimento dei figli delle coppie di fatto.
La negoziazione assistita dovrebbe essere un procedimento estremamente più veloce rispetto al ricorso giudiziario ordinario per separazione consensuale o per divorzio congiunto in tema di filiazione naturale che può essere patrocinato anche da un solo legale.
Di contro per la negoziazione assistita ex d.l. n° 132/14 sono sempre necessari due avvocati, ai quali è delegata prima la fase della negoziazione e poi l’eventuale accordo sempre con la presenza di un legale per ciascuna parte.
Il procedimento, sia per le coppie sposate che per quelle con figli naturali, dovrà prevedere le modalità di affidamento e collocamento, i periodi di visita dei figli per l’altro genitore e così il mantenimento, anche per i figli maggiorenni non autonomi ed ovviamente le determinazioni in tema di assegnazione della casa a tutela della prole.
Nei rapporti delle coppie unite dal matrimonio e nelle unioni civili, la negoziazione assistita potrà riguardare le problematiche connesse con il mantenimento o meno dell’altro coniuge.
Quanto alle innovazioni ulteriori previste dalla riforma Cartabia entrata ora in vigore, va segnalato che, allorché il Procuratore della Repubblica sulla base dell’accordo raggiunto conceda il nullaosta ovvero l’autorizzazione, il provvedimento deve essere comunicato agli avvocati di tutte le parti.
Di notevole è la parte della normativa che riguarda il trasferimento di proprietà.
Come è noto, in caso di accordo il trasferimento di proprietà di immobili o di beni mobili registrati, viene effettuato in esenzione di imposta e ciò comporta un notevolissimo vantaggio in favore degli istanti, allorché appunto si trasferiscano, approfittando della separazione, anche immobili di rilevante valore, in favore di un coniuge o dei figli.
La norma ha precisato, ponendo fine ad un contrasto giurisprudenziale piuttosto acceso in questi anni, che il trasferimento di proprietà previsto nell’atto non abbia effetti costituitivi e cioè non dia luogo immediatamente al trasferimento materiale della proprietà, ma abbia soltanto effetti obbligatorio.
Ciò significa che le parti successivamente si dovranno recare da un notaio per formalizzare il trasferimento sia pure in esenzione di imposta, ma pagando la parcella del professionista.
Un’altra soluzione al contrasto giurisprudenziale che si era creato in precedenza, è quella che riguarda l’assegno “una tantum” previsto nella normativa divorzile.
Vi erano stati infatti dei dubbi circa la possibilità di prevedere, tramite il procedimento della negoziazione assistita, tale liquidazione una tantum delle pretese di un coniuge nei confronti dell’altro.
Ora la questione è superata allorché si è statuito che, in caso di accordo relativo alla cessazione degli effetti civili o allo scioglimento del matrimonio o delle unioni civili, le parti possano stabilire che l’assegno venga versato in un’unica soluzione.
La differenza ulteriore è che nel divorzio ordinario, il provvedimento viene sottoposto ad una valutazione del Tribunale, mentre nella negoziazione assistita la valutazione sull’equità della somma invece viene rimessa agli avvocati.
Proceduralmente va ancora ricordato che, allorché gli avvocati raggiungano un accordo, questo viene trasmesso in modalità telematica al Procuratore della Repubblica e, come detto, una volta accolto con il nullaosta o l’autorizzazione, l’atto viene rimandato agli avvocati delle due parti.
Inoltre è previsto l’obbligo per gli avvocati ai sensi del comma 3 ter dell’art. 6 di trasmettere senza “indugio” a mezzo posta elettronica certificata o con altro sistema elettronico, la negoziazione assistita conclusa, al Consiglio dell’Ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati che hanno partecipato all’accordo.