La Corte d’Appello di Venezia il 04/07/2023 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo, pur assolvendo l’imputato dal delitto di danneggiamento della autovettura della ex compagna, tuttavia confermava la condanna per gli atti persecutori, in anni uno e mesi due di reclusione oltre il risarcimento ad una congrua provvisionale.
La Cassazione Penale con decisione n. 27453 depositata il 10/07/2024 confermava la decisione rigettando il ricorso del responsabile
La vicenda nasce dal comportamento reiterato, molesto e minaccioso dell’ex partner il quale provocava nella ex compagna un grave stato di disagio avendola perseguitata (anche 10 messaggi in poche ore), non rispettando il desiderio di interrompere la relazione, essendosi presentato sul luogo di lavoro e presso l’abitazione più volte con atteggiamenti minacciosi, fino al punto che la donna era piombata in uno stato di angoscia e prostrazione, era stata costretta a mutare i comportamenti, aveva accusato disturbi vari e del sonno, temendo per la propria incolumità e subendo peraltro anche il danneggiamento della propria autovettura.
Ricordiamo che l’art. 612 del Codice Penale punisce con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da generare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, mentre la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge anche separato o divorziato o da persone legate da relazione affettiva con la persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Nel caso specifico i comportamenti molesti erano stati accertati e l’imputato aveva subito una condanna in primo grado rideterminata dalla Corte d’Appello in un anno e due mesi di reclusione con la concessione di una provvisionale a titolo risarcitorio da determinarsi in via definitiva tramite un successivo processo civile.
La differenza fra la sentenza di I grado e quella di II grado derivava dal fatto che non era stato dimostrato, pur trovandosi “singolarmente” l’individuo nel garage della donna, che il danneggiamento dell’autovettura fosse a lui imputabile.
IL RICORSO ALLA CORTE SUPREMA
L’imputato ricorreva alla Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello rilevando che la circostanza di non essere stato riconosciuto responsabile del danneggiamento della vettura, escludeva che l’imputazione allo stesso dello stato d’ansia della ex compagna, del timore alla propria incolumità e dell’alterazione delle abitudini di vita, tutte situazioni in cui era incorsa l’altra parte proprio per il danneggiamento.
Non essendo gli atti vandalici imputabili allo stesso, non vi era alcun motivo per addossare le ansie dell’ex compagna all’imputato, visto che tutti tali comportamenti e disturbi in sostanza derivavano proprio dal timore di subire violenze e quindi dal danneggiamento della vettura.
CONFERMA DELLA CONDANNA DELLA CASSAZIONE
La Corte Suprema escludeva la fondatezza del ricorso rilevando che i giudici de quo avevano valutato perfettamente tutti gli elementi di prova raccolti in relazione alla questione di cui si controverteva e di cui al ricorso laddove, la condotta dell’imputato configurava perfettamente la fattispecie di cui all’art. 612 bis del Codice Penale.
Infatti, rileva la Cassazione che l’insistenza di messaggi in numero spropositato, la mancanza del rispetto della volontà della donna che rifiutava di riprendere la relazione, il fatto che l’imputato si presentasse con aria minacciosa presso l’abitazione e presso il luogo di lavoro, legittimamente creava quello stato di angoscia e prostrazione riferito dalla persona offesa indipendentemente dall’imputazione del danneggiamento dell’autovettura.
A tutto voler concedere, d’altra parte, anche se non era stata raggiunta la prova, in secondo grado, del danneggiamento della vettura, restava il fatto che l’ex compagno era stato rinvenuto all’interno del garage condominiale ove poi è avvenuto il danneggiamento e, la presenza dell’imputato nel parcheggio proprio dove la donna si trovava scendendo dall’auto per poi risalire, anche se non dimostrava con adeguata certezza che l’imputato avesse tagliato le gomme, arricchiva la condotta del reato di atti persecutori, di ulteriori aspetti fattuali, confermando l’ossessività ed il controllo della donna.
Conclusivamente il ricorso veniva dichiarato inammissibile ed il ricorrente veniva condannato anche alle spese processuali ed all’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rimborsare le spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile in € 3.500,00 oltre accessori.