L’art. 660 del Codice Penale punisce la molestia o il disturbo alle persone posto in essere per petulanza o per altro biasimevole motivo.
Il tribunale di Sassari riteneva violata tale norma da parte del marito il quale si attaccava al campanello dell’abitazione della moglie dalla quale era separato.
Comportamento pur biasimabile, ma motivato dalla presunta lesione del proprio legittimo diritto di prelevare la figlia minore e portarla con sé.
A seguito di tale comportamento la moglie era scesa in strada e seguiva una colluttazione.
Di fatto con sentenza del 2018 il Tribunale condannava il marito sia per il reato di molestia che per il reato di lesioni volontarie.
Successivamente in sede di appello nel 2021 veniva escluso il reato di lesioni per remissione della querela, mentre veniva confermata la condanna per le molestie ex art. 660 c.p. in mesi uno di arresto.
Ricorreva alla Corte Suprema il marito rilevando che ingiustamente era stato condannato in quanto egli non aveva posto in essere i comportamenti molesti per petulanza o per altro biasimevole motivo, ma aveva cercato di esercitare il proprio diritto di vedere la figlia, ritenendo che tale diritto fosse stato violato.
LA CORTE SUPREMA
La Corte Suprema con sentenza n° 47396 del 15/12/2022, ricostruita la vicenda annullava il ricorso, ritenendo che erroneamente l’imputato era stato condannato per molestie e disturbo alle persone, ma ciò solo in quanto non era stata ricostruita la situazione nei termini esatti in cui l’evento si era verificato.
In particolare la Cassazione rilevava che, senza dubbio risponde del reato di molestie anche chi pone in essere comportamenti come quello di attaccarsi al campanello di un’abitazione pur se tale comportamento sia posto in essere nella convinzione di esercitare un proprio diritto.
Tuttavia necessita per la configurazione del reato l’esame del comportamento, che deve tradursi in un mero dispetto per biasimevole motivo arrecata alla parte.
Di contro, nel caso in esame il comportamento non aveva questo presupposto, e cioè l’assenza di alcuna plausibile ragione, ma era stato posto in essere nell’intento di rendere manifesta la propria volontà di avvalersi del diritto di vedere la figlia allorchè controparte non intendeva riconoscerla (in senso analogo anche Cass. n° 9619/2004).
In sostanza era chiaro che il ricorrente aveva subito o riteneva di aver subito una menomazione del proprio diritto di padre di tenere con sé la figlia e dunque mancava la sussistenza dell’elemento caratterizzante il reato, vale a dire la gratuita finalità di dare in questo modo disturbo e fastidio, mentre il comportamento nel caso in essere era connaturato alla rivendicazione del proprio diritto asseritamente leso dall’ex moglie, manifestando con tale comportamento all’altro coniuge la propria volontà nel senso che l’imputato non era disposto a soggiacere alla prepotenza di impedirgli che la bambina venisse presa e portata con sé.