Molto spesso, dopo un processo di separazione, ciascuno degli interessati tende a ricrearsi una nuova famiglia, comunque cerca un mutamento nella propria vita, nelle proprie abitudini e nelle proprie frequentazioni e talvolta compare la necessità di spostarsi dalla città ove si è sempre vissuti con il precedente coniuge.
La questione finisce nelle aule di giustizia allorché i minori seguono la madre pregiudicando o comunque riducendo drasticamente il diritto dell’altro genitore di visita e di avere con sé il bambino.
L’ordinanza n. 21054 depositata il 1/07/2022 della Corte Suprema, ha affrontato ex novo la problematica che si crea nell’ambito di coppia, allorché uno dei due lasci l’abitazione coniugale, si sposti in un’altra città o comunque in una località che pregiudica l’esercizio del diritto di visita dell’atto.
Il ricorso alla Corte Suprema era proposto proprio dal padre, il quale rilevava che erroneamente il Tribunale di Bergamo e poi la Corte d’Appello di Brescia avevano confermato l’autorizzazione alla moglie, medico pediatra, a trasferire la propria residenza con il figlio minore a Bologna, ove la stessa aveva rinvenuto migliori condizioni lavorative ed aveva potuto partecipare alla graduatoria per i medici privati, quindi incrementando il proprio reddito.
Sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado avevano autorizzato tale trasferimento rilevando che, se da un lato sussisteva un pregiudizio per il padre derivante dalla maggiore lontananza e quindi da un’oggettiva rarefazione delle possibilità di frequentazione, tuttavia bisognava considerare l’interesse per il minore, che era comunque quello di rimanere, a sei anni di età, con la madre con cui era sempre vissuto.
IMPEDIMENTO O RIDUZIONE DEL DIRITTO DI VISITA
Il padre rilevava che aveva errato la Corte d’Appello ed il Tribunale, in quanto il trasferimento non corrispondeva affatto all’interesse effettivo del figlio, ma era determinato esclusivamente dalla prospettiva di una più remunerativa attività lavorativa della pediatra: ciò tuttavia non legittimava il trasferimento anche del bambino che avrebbe potuto essere collocato presso il padre.
D’altra parte il fatto che la Corte d’Appello avesse allargato le possibilità del diritto di visita del padre, lasciando sostanzialmente senza limiti tale esercizio, non migliorava la situazione, in quanto comunque il giudice di primo grado avrebbe dovuto tener conto delle capacità genitoriali del padre, già accertate mediante idonea consulenza tecnica e quindi, pur non potendo impedire il trasferimento, avrebbe dovuto decidere sulla richiesta di modificazione del collocamento del bambino.
La madre viceversa, riteneva che il miglioramento economico riguardava ovviamente anche il figlio ed in ogni caso, proprio guardando all’interesse dello stesso, non vi era dubbio come mancasse qualunque alienazione parentale ipotizzata dal marito, anche perché a Bologna si trovava già il nucleo familiare della madre e quindi un ambiente sereno ed adatto alla crescita del bambino.
Né d’altra parte vi era una eccessiva limitazione della possibilità del padre di frequentare il bambino, né il medico poteva limitare la propria possibilità lavorativa e quindi la propria redditività che andava, in ultima analisi, a favore dell’intera famiglia e quindi anche del bambino, soltanto per non limitare i diritti di visita dell’altro genitore.
INCOMPRIMIBILITA’ DEL MARITO A TRASFERIRSI
La Cassazione, nel rigettare il ricorso del marito, rilevava che il diritto di trasferirsi, era incomprimibile, in quanto ciascun cittadino ha diritto di porre la propria residenza o di spostarsi dove meglio ritiene.
Quindi, non vi era alcuna possibilità per il Tribunale o la Corte d’Appello di impedire tale trasferimento, mentre l’unico esame avrebbe dovuto riguardare la circostanza se, da tale trasferimento, non coercibile, ne derivasse un pregiudizio per il minore.
Tuttavia la Corte d’Appello, aveva già confermato che sulla base degli elementi di fatto, il regime di affidamento condiviso con collocamento presso la madre, pur trasferita in un’altra città in una prospettiva di miglioramento delle proprie condizioni economiche, non era sicuramente di ostacolo al rapporto padre figlio, né tantomeno pregiudicava l’interesse del minore, che, seppure con modalità diverse, avrebbe continuato a frequentare l’altro genitore.
Tale argomentazione veniva condivisa dalla Cassazione che riteneva, come la soluzione adottata dalla Corte d’Appello, che aveva operato un bilanciamento tra gli interessi e le esigenze dei due genitori, valutando le prospettive lavorative della madre e contestualmente la possibilità per il padre di regolare in modo elastico gli incontri con il minore, ormai ben inserito nel nuovo contesto territoriale, andava sicuramente confermato.
IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO
La questione dell’allontanamento dei genitori con il figlio si complica allorché la madre si trasferisce in una località non facilmente raggiungibile o addirittura all’estero.
Questa è una delle situazioni spesso dibattute nelle aule di giustizia anche per la presenza di numerosi matrimoni misti o di convivenza fra cittadini di Stati diversi.
Sotto tale profilo, innanzitutto va precisato come di norma sia lecito che un genitore si trasferisca all’estero con il proprio figlio, in quanto è pacifico che il diritto di trasferirsi è costituzionalmente garantito per chiunque.
Tra l’altro la legittimità è prevista anche da norme sovranazionali come dalla Convenzione dell’Aia che stabilisce espressamente il diritto del genitore di trasferirsi con il figlio decidendo il luogo di residenza.
Naturalmente la questione si pone in quanto allontanandosi il genitore con il figlio, sia pure esso affidatario e collocatario del minore, resta la problematica per l’altro genitore di poter esercitare il diritto di visita, di controllo e di avere con sé il bambino.
Sotto il profilo del diritto di famiglia, senza dubbio il trasferimento all’estero della residenza del bambino costituisce una decisione straordinaria che dunque andrà assunta con il consenso di entrambi.
In assenza di tale consenso dovrà decidere il magistrato.
La Corte di Cassazione ha esaminato la questione in numerose occasioni.
Per esempio con la decisione n° 3194 del 07/02/2017 ha statuito che, allorché sia attribuita la custodia ad entrambi mediante affidamento condiviso, il trasferimento deciso unilateralmente all’estero della residenza del minore, deve considerarsi illecito, non soltanto perché viene autonomamente modificato il luogo della residenza del minore, ma anche perché il trasferimento pregiudica il rapporto di effettiva cura del minore da parte del genitore affidatario in modo condiviso, impedendo a questo di continuare ad esercitare i controlli e le tutele nei confronti del minore garantendo a quest’ultimo le consuetudini e la comunanza di vita.
ORIENTAMENTI CONTRASTANTI ANCHE IN SEDE DI LEGITTIMITA’
Sempre la Cassazione con la statuizione n° 19694 del 18/09/2014 aveva confermato il rigetto dell’autorizzazione richiesto dalla madre di potersi trasferire nel proprio paese di origine (il Galles) con il figlio minore, per migliorare la propria posizione lavorativa.
Le motivazioni della donna apparivano sicuramente condivisibili laddove questa rilevava l’errore della Corte d’Appello nel non aver autorizzato la partenza ed il trasferimento di residenza, in quanto rimanendo in Italia, sarebbe stato pregiudicato anche l’interesse del bambino ad una vita più serena, dovendo vivere l’istante con redditi certamente più bassi e quindi con meno possibilità connesse ad una vita meno agiata per il minore a causa della difficile situazione lavorativa italiana.
Inoltre rilevava che, tornando nel paese d’origine avrebbe avuto l’aiuto dei genitori e quindi era da ritenersi maggiormente protetta la figura del minore.
In primo grado era stata espletata una consulenza tecnica la quale aveva ritenuto sicuramente possibile il trasferimento, ma pregiudizievole per il bambino, il quale avrebbe perso il riferimento paterno.
La Suprema Corte si appoggiava a tale valutazione, nel presupposto che fosse necessario dare preminenza al superiore interesse del minore in funzione del quale andava assunta la decisone se permettere o meno il trasferimento all’estero.
Poiché con il trasferimento all’estero sarebbe stata annullata la figura paterna con possibili danni evolutivi e di sviluppo nel bambino, riconducibili non soltanto alla problematicità della relazione fra le parti ed alla relativa elevata conflittualità, ma anche all’ostracismo della donna nei confronti del marito che si sarebbe proiettata nell’educazione del bambino, rigettava il ricorso.
Va tuttavia detto in tal senso che numerose sono le decisioni contrarie non solo dei giudici di merito, ma anche della stessa Corte Suprema (n° 18087 del 14/09/2016) che viceversa hanno ritenuto di privilegiare la necessità di un miglior tenore di vita per il bambino derivante da maggiori possibilità lavorative all’estero in favore della madre.
LA NECESSITA’ DEI PROVVEDIMENTI DEL TRIBUNALE
Appare in ogni caso importante in tutte le situazioni di contrasto fra i genitori, ricorrere tempestivamente al giudice anche perché il Regolamento (CE) n° 2201/2003 del Consiglio del 27/11/2003 ed il successivo n. 1111 del 25 giugno 2019, hanno statuito espressamente come le decisioni del primo giudice europeo che si pronunzia divengano automaticamente esecutive negli altri Stati dell’Unione senza bisogno del processo di delibazione.
È comunque da notare che, ove manchi un provvedimento del giudice, è assolutamente illegittimo, e talvolta punito penalmente, il genitore che “escluda” l’altro ponendo in essere azioni e condotte volte a sottrarre il figlio minore alla vigilanza ed all’esercizio della funzione educativa dell’altro genitore.
Quando poi nel caso di figli all’estero non si configuri addirittura il reato di cui all’art. 574 bis c.p. introdotto dalla legge 15/07/2009 n° 94 che prevede l’illecito della sottrazione e trattenimento di minore all’estero, statuendo la pena da uno a quattro anni per chiunque sottrae un minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore, impedendo in tutto o in parte l’esercizio della responsabilità genitoriale.