Con il divorzio viene a cessare qualsiasi rapporto parentale con tutte le conseguenze sia sui rapporti ereditari che non sussistono più sia, in caso di morte dell’ex coniuge divorziato, in tema di pensione di reversibilità che, di norma non viene più concessa all’ex coniuge superstite, a meno che quest’ultimo non sia titolare di assegno divorzile.
Sotto tale profilo la legge n.898/70, stabilisce che il superstite (in genere la donna) la quale sia però titolare di un assegno di divorzio, conserva con determinati limiti e presupposti, il diritto a percepire la pensione di reversibilità.
Ciò comporta che, sposando una nuova compagna, la reversibilità va divisa dal magistrato tra la moglie attuale e quella precedente.
Va ricordato infatti che il coniuge titolare di un assegno divorzile periodico ha il diritto di accedere pro quota alla pensione di reversibilità in caso di premorienza dell’altro coniuge divorziato, eventualmente suddividendolo con il nuovo coniuge superstite.
La legge 898/70 e succ.ve modifiche, infatti prevede espressamente il diritto per il beneficiario dell’assegno divorzile, di accedere in tutto o in parte alla pensione di reversibilità derivante dalla morte dell’altro.
I requisiti per rivendicarne tale diritto sono i seguenti:
a) essere titolari di un assegno divorzile;
b) non essere passati a nuove nozze;
c) inizio del rapporto di lavoro da cui consegue il trattamento pensionistico precedente alla sentenza di divorzio.
Nel caso più semplice, dunque in cui sussista un unico coniuge divorziato titolare di assegno, questo avrà diritto alla pensione di reversibilità per intero.
L’ESISTENZA IN VITA DI EX E NUOVO CONIUGE
La seconda situazione più complessa è quella in cui vi sia in vita invece un’altra ex moglie avente diritto anch’essa alla reversibilità.
In questa fattispecie l’ex moglie divorziata, dovrà rivolgersi al Tribunale per la determinazione della propria quota.
Il Tribunale provvederà ad assegnare al coniuge divorziato una quota della pensione e delle altre indennità tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni, secondo l’interpretazione letterale della legge.
Tale criterio tuttavia dava luogo a delle ingiustizie, in quanto il matrimonio con la seconda compagna veniva contratto ovviamente solo dopo la pronuncia ed il passaggio in giudicato del divorzio.
In questa maniera accadeva che il primo matrimonio spesso aveva una durata apparente di dieci o vent’anni (tenendo conto della durata dei processi intercorsi tra le parti, le impugnazioni, etc.), considerando anche che il primo matrimonio, si considera perdurante dalla stipula fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, mentre il secondo matrimonio vale a dire quello con la seconda compagna, realmente spesso vicina per la maggioranza della vita con il defunto, e non infrequentemente per la parte meno felice contraddistinta da vecchiaia e malattie, risultava formalmente di pochi anni.
Applicando letteralmente la normativa divorzile, che appunto tiene conto solo della durata degli anni di matrimonio, accadeva che alla prima moglie, con la quale non vi è stato più alcun rapporto da decine di anni, venisse attribuita la maggior parte della quota della pensione, mentre alla seconda moglie, che aveva potuto stipulare il matrimonio solo dopo lungaggini processuali ed il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, venisse attribuita una quota di pensione minima, pur essendo colei che si era dedicata al proprio compagno per la maggioranza della sua vita e soprattutto per la parte finale e meno felice con tutte le problematiche connesse.
LA RIVISITAZIONE DELLA NORMA
Per questo sono intervenute numerose sentenze della Cassazione, nonché una decisione della Corte costituzionale ritenendo quest’ultima che, all’espressione “...tenendo conto della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali...” se da un lato non può essere attribuito un significato diverso da quello letterale, tuttavia, ciò non esclude che si possa ritenere egualmente ammissibile l’utilizzazione anche di altri criteri, non potendosi però prescindere dal calcolo matematico della durata del matrimonio.
La Cassazione ha comunque precisato che “...Le ragioni del carattere solidaristico della pensione di reversibilità alla luce dei precetti costituzionali di eguaglianza sostanziale e di solidarietà sociale, nonché tenuto conto della sentenza interpretativa della Corte Costituzionale impongono che, la ripartizione della quota di reversibilità in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione tra l’estensione temporale dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi, anche valutando ulteriori elementi da utilizzare eventualmente quale correttivo del criterio temporale, considerando l’ammontare dell’assegno prodotto dal coniuge divorziato prima del decesso, le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda e in questa ottica curando che l’ex coniuge non sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che egli avrebbe dovuto assicurare nel tempo, venendo meno l’assegno di divorzio e che il secondo coniuge possa a propria volta mantenere il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato durante la sopravvivenza. Inoltre va computata anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, elemento che potrà essere considerato dal giudice del merito da apprezzare per la più completa valutazione della situazione”.
LE CONSEGUENZE DI TALE ORIENTAMENTO
Queste premesse inducono a comprendere perché spesso vengono promosse azioni giudiziarie di modifica delle condizioni divorzili preesistenti per annullare l’assegno divorzile al solo fine di far pervenire l’intera reversibilità alla nuova compagna.
In altri casi, è frequente in senso inverso, l’accordo tra i coniugi ormai in età avanzata per inserire un assegno divorzile prima inesistente, al solo fine di permettere all’altro di poter accedere alla reversibilità, che viceversa perderebbe in assenza di tale assegno.
L’ASSEGNO DIVORZILE VERSATO QUALE UNA TANTUM
Problematica appare invece la questione di determinare se l’ex coniuge liquidato con un’unica somma ex art. 5 della normativa divorzile, possa rivendicare diritti sulla pensione di reversibilità.
Inizialmente si riteneva che l’assegno “una tantum” proprio perché fa cessare ogni diritto di natura patrimoniale per il coniuge beneficiario, non permettesse neanche l’acquisizione della pensione di reversibilità.
In altri casi i giudici statuivano che l’art. 9 della legge divorzile, il quale che prevede invece il diritto a percepire la reversibilità per il coniuge divorziato che non sia passato a nuove nozze, fosse operativo anche nell’ipotesi non solo di assegno periodico, ma anche di assegno liquidato in un’unica soluzione.
A causa di tale incertezza, la Cassazione si è espressa in maniera difforme più volte sul punto se sussista o meno il diritto del coniuge che accetti l’assegno “una tantum” di poter acquisire la pensione di reversibilità e nel caso dividendola con il secondo coniuge.
In senso negativo e cioè escludendo il diritto alla pensione di reversibilità annoveriamo Cass. n. 10458/2002 e Cass. n. 17018/2003 fra le tante.
In senso viceversa favorevole al diritto della reversibilità annoveriamo Cass. n. 16734/2011, n. 13108/2010 ed altre.
La questione era stata rimessa alla decisione delle Sezioni unite della Cassazione con ordinanza n. 11452/2017 per dirimere la controversia e determinare una soluzione definitiva.
LA DECISIONE NEGATIVA DELLE SEZIONI UNITE
Tuttavia la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 22434/2018 si è orientata in senso negativo. Ha precisato la Corte suprema che la titolarità dell’assegno divorzile deve essere attuale e concreta, enunciando il principio di diritto secondo cui, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ex art. 9 l. n. 898/1970, è necessario che la titolarità dell’assegno divorzile debba intendersi attuale e concretamente fruibile al momento della morte dell’ex coniuge. Di contro precisa la Cassazione non rileva la titolarità astratta del diritto all’assegno di divorzio in precedenza soddisfatto con la corresponsione di un’unica soluzione.
Conclusivamente in caso di assegno divorzile liquidato in un’unica soluzione quale “una tantum” ex art.5 legge n.898/70, l’ex coniuge non avrà diritto alla pensione di reversibilità nè ad una quota della stessa.
E di questo orientamento ne va tenuto conto allorché i coniugi determinino le condizioni del loro divorzio.
Diversamente sempre la Cassazione con la recentissima sentenza n. 20477 del 2020 ha escluso il diritto alla reversibilità per il coniuge che fosse titolare di assegno divorzile simbolico (nella fattispecie un dollaro l’anno), ma non di un versamento periodico effettivo di divorzio.