Continua l’orientamento favorevole al creditore della Cassazione relativamente a tutti i trasferimenti di proprietà che vengono effettuati nell’ambito di una separazione o di un divorzio in esenzione fiscale, ma rimanendo soggetti all’azione revocatoria ex art. 2901 del Codice Civile.
Anche in questo caso la Suprema Corte con l’Ordinanza del 06 Ottobre 2020 n° 21358 ha dato torto alle ragioni del padre che aveva donato la propria parte d’immobile ai figli così come era stato stabilito nell’accordo di separazione.
L’AZIONE REVOCATORIA
Ricordiamo che il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni e cioè riducano la possibilità di recuperare il credito.
L’azione è ammissibile in caso di donazione bastando la dimostrazione che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.
Più complessa è la norma in tema di atti a titolo oneroso, come per esempio una compravendita; in tal caso il creditore oltre che la consapevolezza da parte del debitore deve dimostrare che il terzo fosse consapevole del pregiudizio che l’atto arrecava al creditore.
La giurisprudenza ha chiarito in più occasioni che, allorché l’acquirente è un familiare, trattandosi di conviventi o comunque di soggetti legati al debitore, la presunzione è automatica.
Quindi in sostanza, se il trasferimento di proprietà viene effettuato anche a titolo oneroso in favore di un figlio, è presunto che questi sia a conoscenza dei debiti del padre.
LA PRESCRIZONE DELL’AZIONE
L’azione revocatoria ordinaria, (per distinguerla da quella fallimentare) si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto.
Dunque una volta trascorsi cinque anni da quando il trasferimento di proprietà, o a titolo oneroso o a titolo gratuito, viene effettuato, l’azione revocatoria non può più essere esercitata.
Nel caso specifico è stato proprio questo il problema laddove secondo il padre che aveva donato l’immobile al figlio, il termine era decorso in quanto non doveva essere computato a partire dalla data dell’atto notarile di trasferimento della proprietà, (che rientrava nel quinquennio), bensì dalla data della separazione, nella quale egli si era impegnato a trasferire il 50% dell’immobile ai figli.
Sia il giudice di merito che la Cassazione rigettavano però oltre la prima, costituzione (il decorso del quinquennio, ritenendo che il termine decorresse dal rogito notarile), anche la seconda eccezione e cioè la tesi del padre secondo la quale l’atto era stato compiuto in adempimento di un’obbligazione di natura familiare assunta nel giudizio di separazione, valevole quale preliminare di compravendita.
Dunque, sotto questo profilo, secondo la tesi del venditore, avendo l’atto natura di adempimento dell’obbligo assunto con il coniuge, si trattava di un atto dovuto e come tale non revocabile.
La Cassazione è stata esattamente di opinione opposta ed ha affermato che la volontà espressa nell’accordo di separazione relativa al trasferimento di proprietà dell’immobile in favore dei figli non integra per nulla un contratto preliminare di compravendita a favore di terzi.
Di contro, ai fini dell’azione revocatoria, il trasferimento di proprietà, pur avendo la propria ragione nel patto contenuto nella separazione fra i coniugi, non può evitare le ragioni della banca, laddove i presupposti dell’azione revocatoria non vanno valutati in relazione alle motivazioni o ai presupposti dell’atto stesso, ma in violazione alle oggettive conoscenze del beneficiario del credito della banca e, del pregiudizio che questo subiva dalla cessione e quindi nell’impossibilità di recuperare il credito.