L’Agenzia delle Entrate non può più opporre alcun veto alla richiesta di uno dei due coniugi che chieda all’Anagrafe Tributaria di accedere ai redditi ed al patrimonio dell’altro.
Ciò anche senza l’autorizzazione del giudice civile e non tenendo conto del diritto della privacy dell’altro.
Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria del 25/09/2020 con decisione n° 19 mette fine al contrasto della giurisprudenza sul punto ed apre le porte al libero controllo dei redditi dell’altro coniuge, anche senza che il giudice civile abbia autorizzato l’acquisizione dei dati.
Dopo numerosi contrasti giurisprudenziali i giudici amministrativi sono tornati a regolare in maniera definitiva la controversia circa il diritto di un coniuge all’accesso di documenti patrimoniali e reddituali riferibili all’altro coniuge così come risultano nelle banche dati delle Agenzia delle Entrate.
Il diritto di accesso in sede civilistica
Come è noto nei procedimenti di separazione e divorzio il magistrato è tenuto a verificare le condizioni economiche delle parti.
Di norma con la presentazione del ricorso o con la costituzione ciascun coniuge è tenuto a depositare le dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni e molti tribunali pretendono la redazione di una dichiarazione sottoscritta e cioè di un certificato sostitutivo dell’atto notorio effettuato ai sensi dell’art. 45 comma 3° D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, con il quale si debbono dichiarare le attività di ciascun coniuge, inclusi conti correnti, titoli, carte di credito e quant’altro oltre ovviamente i redditi da lavoro dipendente ed autonomo, le proprietà immobiliari, i beni mobili rilevanti, quali barche, aeromobili e simili.
In caso di contestazione fra i coniugi ovvero se appaia sussistere difformità fra le dichiarazioni dei redditi ed il reddito effettivo o il tenore di vita, il giudice può disporre accertamenti mediante la Guardia di Finanza e ciò sia nel processo di separazione che nel processo di divorzio.
I poteri del giudice civile
Va detto che nell’ambito del processo di separazione e divorzio il magistrato ha oggettivamente dei poteri inquisitori e ciò è previsto per esempio dall’art. 337 ter comma 6° del Codice Civile.
Tale norma precisa che, se le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice può disporre un accertamento della Polizia Tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione.
Lo stesso principio si rileva dall’art. 5 della legge divorzile n° 898/70 ed ancora, per ciò che riguarda gli ordini di protezione contro gli abusi familiari dall’art. 736 bis c.p.c. ove al Presidente è attribuita la possibilità di disporre indagini mediante la polizia tributaria sui redditi e sul patrimonio personale comune delle parti ed ancora nell’art. 492 bis c.p.c. relativo alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare integrato dall’art. 165 sexies delle Disposizioni di attuazione del Codice Civile ove si estendono le disposizioni in materia di ricerca dei beni da pignorare anche ai sequestri conservativi e per la ricostruzione dell’attivo e del passivo, senza dimenticare le disposizioni in tema di poteri del giudice, ex art.li 210, 211 e 213 c.p.c. relativamente all’ordine di esibizione.
Tutte tali ipotesi potrebbero far ritenere come il potere della parte debba essere esercitato solo attraverso l’autorizzazione del giudice civile ovvero essere escluso nell’ipotesi in cui il giudice civile rifiuti la richiesta di accesso.
Il diritto di accesso indipendentemente dall’ordine del Giudice
La disciplina sull’accesso agli atti amministrativi attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse costituisce ai sensi dell’art. 22 comma 2° della legge n° 241/1990 un principio generale dell’attività amministrativa, ormai ampiamente consolidato, laddove la ratio dell’istituto è ravvisata proprio nei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento sanciti dall’art. 97 della Costituzione e nell’esigenza di agevolare i cittadini nell’ottenere gli atti di loro interesse anche per valutare se sia o meno il caso di agire in giudizio a tutela di una propria posizione giuridica.
Dal punto di vista amministrativo, indipendentemente dall’ordine e dall’autorizzazione del Tribunale o dai provvedimenti che il Tribunale intenda assumere, ai sensi della legge n° 241 del 1990 dunque, sussiste il diritto di accesso ai documenti ed agli atti amministrativi nell’interesse di ciascuna parte, diritto di accesso alla quale la controparte può tuttavia opporsi ai sensi del D.P.R. 12 aprile 2006 n° 184.
Il problema è quello di stabilire se tra i due gruppi di disposizioni normative (quelle civili o quelle amministrative) sussista un rapporto di correlazione, ovvero se, anche senza l’ordine del giudice, una parte possa accedere alle dichiarazioni dei redditi ed agli altri documenti fiscali o finanziari dell’altro coniuge indipendentemente dalle autorizzazioni o meno.
Contemperamento delle opposte esigenze
L’Adunanza plenaria n° 19 del 25/09/2020 rilevava che non vi era una violazione del bilanciamento fra il diritto di accesso difensivo e la tutela della riservatezza dall’altra parte.
Ciò in quanto si deve far riferimento al “criterio generale della necessità” ai fini della difesa di un proprio interesse giuridico ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.
Ciò anche perché il controinteressato ha a disposizione tutti gli strumenti procedimentali (opposizione ex art. 3 D.p.r. n° 184/2006) e processuali (impugnazione dell’atto di accoglimento dell’istanza di accesso dinanzi al giudice amministrativo ex art. 133 comma I lettera A n° 6 del Codice Processuale Amministrativo) per difendere la propria posizione contrapposta a quella del richiedente l’accesso.
Dunque non è ravvisabile alcuna lesione del principio della parità degli strumenti e della tutela di entram