I TRIBUNALI HANNO INIZIATO AD ADEGUARSI AL NUOVO ORIENTAMENTO DELLA CORTE SUPREMA, RIDUCENDO DRASTICAMENTE NEL DIVORZIO GLI ASSEGNI ATTRIBUITI ALLE MOGLI
Il principio introdotto dalla Cassazione con la sentenza n°11504/17, ha cancellato con un colpo di spugna il presupposto per cui la donna divorziata avesse diritto a mantenere il tenore di vita di cui usufruiva durante il matrimonio e conseguentemente l’assegno divorzile dovesse essere determinato in misura adeguata.
La Suprema Corte in sostanza ritiene che il divorzio ponga termine non solo al matrimonio, ma a qualunque rapporto preesistente tra i coniugi inclusi quelli economici sicchè non vi è ragione di attribuire un assegno divorzile salvo che a titolo assistenziale.
L’AUTONOMIA ECONOMICA
Dunque in pratica allorché viene chiesto l’assegno divorzile il Tribunale deve valutare soltanto se la parte interessata abbia o meno una sufficiente autonomia economica.
Il diritto all’assegno deriva proprio, sempre secondo la Cassazione, solo dalla mancanza di reddito oppure da un reddito non sufficiente e cioè non adeguato alle proprie necessità.
Nulla però dice la Corte Suprema su cosa si intenda per reddito adeguato.
In pratica, ciò che “ha dimenticato” di indicare la Cassazione e quale sia il limite di reddito al di sotto del quale la donna ha diritto all’assegno divorzile ed al di sopra del quale null’altro.
LE PRIME INTERPRETAZIONI DI MERITO
Il Tribunale di Milano con ordinanza del 22 Maggio 2017 è intervenuto con una interpretazione del criterio dell’indipendenza economica e dell’adeguatezza del reddito.
Il Tribunale ha ritenuto che “…per indipendenza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana, tenuto conto del contesto sociale di inserimento, di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”.
Per rispondere in concreto al quesito il Tribunale ha ritenuto che debba farsi riferimento all’ammontare degli introiti che secondo le leggi consentono all’individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (la soglia attualmente è di euro 11.528,41 annui, ossia circa di euro 1.000 mensili).
SE POTESSI AVERE 1.000 EURO AL MESE
Dunque il Tribunale ritiene che la donna titolare di un reddito pari o superiore a 1.000 euro al mese non abbia più alcun diritto di richiedere un assegno divorzile od un’integrazione dell’assegno già percepito.
Si tratta ovviamente di una prima indicazione della giurisprudenza di merito che sicuramente verrà rivista, modificata od integrata ad altre decisioni.
Un ovvia osservazione è quella che il tenore di vita non può essere considerato in astratto, ma debba essere rapportato alla situazione in cui l’interessato vive.
LA CARRIERA UCCIDE LA FAMIGLIA
Come abbiamo già visto in un nostro precedente intervento sul tema, la decisione della Suprema Corte costituisce un fulmine a ciel sereno in innumerevoli situazioni e comunque in tutte quelle i cui la donna aveva dedicato la propria vita alla famiglia per permettere al proprio compagno di fare carriera, sacrificando la propria e, rimanendo, secondo questa nuova interpretazione della legge divorzile, prive di un adeguato reddito, salvo un eventuale assegno di sopravvivenza.
La questione non è affatto di poco conto.
Il suggerimento alle donne che emerge dalla sentenza della Cassazione soprindicata (di non contare più sul matrimonio come sistemazione definitiva dei propri interessi, ma di basarsi esclusivamente sulle proprie capacità professionali e lavorative essendo dovere di ciascuna rendersi economicamente indipendente consolidando la propria posizione patrimoniale, in quanto il matrimonio può cessare da un momento all’altro), diventa non un suggerimento, ma un obbligo.
UNA SOLUZIONE TROPPO SEMPLIFICATA
Tuttavia, aderendo in modo ottuso ed acritico ad una simile posizione, non si può non pensare agli innumerevoli casi dove apparirebbe assurdo privare la donna di un adeguato mantenimento, soprattutto in età avanzata, laddove da una parte sussiste l’ex coniuge con la giovane amante la quale utilizza senza alcuna limitazione tutto ciò che è stato creato durante il matrimonio con la partecipazione ed il sacrificio di una vita di entrambi i coniugi, come case al mare o in montagna, vetture di grossa cilindrata, vacanze costose e similari, mentre dall’altra ci si deve accontentare di un assegno di sopravvivenza, e comunque inadeguato al patrimonio del marito, che non avrebbe mai potuto accumulare tanto, senza essere sollevato da ogni obbligo familiare dalla moglie.
Se si accettasse l’orientamento attuale senza un ripensamento, si finirebbe con l’attribuire a tali anziane, una vecchiaia ben misera, “punendole” dell’aver sacrificato la propria vita dedicata alla famiglia e ai figli per permettere al proprio coniuge (ex coniuge) di sviluppare la propria carriera e il proprio patrimonio.
LA CARRIERA INNANZI TUTTO
Dall’altra parte se questo sarà l’orientamento che verrà seguito anche nelle successive sentenze dalla Corte Suprema, certamente le donne dovranno ben valutare i rischi di dedicarsi alla famiglia e ai figli, anziché alla carriera, (ma le nascite sono già calate drasticamente) nel presupposto che il matrimonio possa terminare in qualsiasi momento anche senza loro colpa, ma con il rischio di rimanere prive di un reddito adeguato, soprattutto nella parte finale della propria esistenza.