Mai concedere una casa ad uso gratuito al proprio figlio in occasione del suo matrimonio senza un adeguato contratto scritto.
In caso di separazione dei coniugi con figli minori o maggiorenni non autonomi od in ogni caso di cessazione della convivenza, la casa viene attribuita grtuitamente e senza limiti temporali precostituiti alla madre.
Con ciò si preclude ogni possibilità di recupero per il legittimo proprietario, pur se padre del separato e come tale estraneo alla crisi coniugale.
E’ molto frequente che in vista di un matrimonio ovvero di un rapporto di convivenza, i genitori tendano ad aiutare i propri figli nella costituzione della nuova famiglia e, quale aiuto e’ maggiore di concedere una casa di abitazione?
Così spesso i genitori del figlio nubendo danno la possibilità alla nuova famiglia di andare ad abitare in uno degli alloggi di loro proprietà.
Se dopo qualche tempo le cose vanno male (non dimentichiamo che in Italia un matrimonio su quasi due fallisce e così i rapporti di convivenza) ben difficilmente i generosi genitori riusciranno a recuperare l’immobile.
Infatti ormai si è creata una giurisprudenza assolutamente consolidata secondo la quale, dovendosi configurare il rapporto come un comodato gratuito, regolamentato dagli art. 1803 c.c. e s.s. e poiché deve presumersi che il comodato è stato concesso alla famiglia e non ad uno solo dei suoi membri, diventa irrilevante la circostanza che l’unione fallisca, laddove l’abitazione rimarrà comunque alla compagna e al figlio nato dall’unione, divenendo del tutto ininfluenti le ragioni dei genitori e la tutela del diritto di proprietà.
Quindi in sostanza, ciò significa che l’immobile come si è già visto parlando dell’argomento in diverse occasioni, viene acquisito dalla donna, adibendolo a propria casa familiare, senza versare alcun corrispettivo ai genitori del compagno.
DIFFICILE EQUILIBRIO TRA TUTELA DELLA FAMIGLIA E DIRITTI DEI GENITORI
Il meccanismo giuridico al quale ricorre la Corte di Cassazione, per comprimere il diritto di proprietà dei genitori alla restituzione dell’immobile, e per giustificare che l’immobile rimanga fino all’ autonomia dei figli, gratuitamente in favore della donna, è quello come detto di ricorrere all’istituto del comodato.
Il comodato come è noto, è il contratto con il quale una parte consegna all’altra, di norma gratuitamente, un bene affinché se ne serva per un tempo determinato con l’obbligo di restituire il bene al termine del contratto.
Per ciò che riguarda la restituzione l’art. 1809 c.c. prevede che il comodatario è obbligato a restituire il bene alla scadenza del termine convenuto, ovvero in caso di mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto. Se però durante il termine convenuto sopravviene un urgente ed imprevedibile bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata.
L’art. 1810 c.c. viceversa prevede che, ove non sia stato convenuto alcun termine il comodatario è tenuto a restituire il bene non appena il comodante lo richieda.
Singolarmente (e questa è una grave lacuna) non è prevista la prova scritta anche se il comodato riguardi immobili.
Forzando adeguatamente tali norme, la Cassazione ha ritenuto che, essendo la casa tacitamente destinata alla famiglia, e dunque dovendo ipotizzarsi con un contratto di comodato sottostante, nell’ipotesi in cui il matrimonio fallisca, o venga meno l’unione dei conviventi, la casa non debba essere restituita al genitore proprietario, ma debba rimane nella disponibilità della donna e della prole anche se il figlio del proprietario venga estromesso dall’immobile per provvedimento del Tribunale.
UNA FORZATURA A FIN DI BENE
Una simile interpretazione estremamente estensiva dell’istituto del comodato e soprattutto della volontà delle parti è stata criticata in numerose occasioni. Basta esaminare in tal senso il numero rilevante delle sentenze che si sono occupate delle relativeproblematiche (a sezioni unite: Cass. Sez. Unite n. 13203/2004 e più recentemente Cass. Sez. unite 20448/14).
Molti anni fa un magistrato mi disse che egli decideva in cuor suo chi avesse ragione secondo un principio di giustizia sostanziale.
Solo dopo aver deciso cosa avrebbe dovuto dire nella sentenza, adattava gli argomenti giuridici alla decisione che aveva già assunto.
Questo è esattamente ciò che è successo allorché si è deciso di impedire ai genitori proprietari di rientrare nel possesso dell’immobile al fine evidentissimo di tutelare gli interessi della donna e della prole, orientamento confermato anche con una decisione del 2017.
LA PERCEZIONE DI UN’INGIUSTIZIA
Da più parti si è fatto notare che spesso si finisce però con il punire i genitori, allorchè per esempio la volontà degli stessi era di concedere l’immobile solo per qualche anno e cioè fino alla sistemazione definitiva del figlio e della compagna, e non invece di perdere l’immobile a vita. O peggio allorchè il fallimento dell’unione sia imputabile ad una relazione extra coniugale della moglie, la quale tuttavia otterrà egualmente il collocamento dei minori e l’assegnazione della casa mentre il marito verrà estromesso dall’alloggio.
In tal caso il padre e la madre dell’incolpevole marito si trovano a perdere la propria casa, pur senza nessuna colpa del proprio figlio, percependo la cosa come una estrema ingiustizia.
In più occasioni tuttavia, la Corte Suprema ha precisato che, dovendo scegliere tra i due mali (danneggiare il marito incolpevole o danneggiare i figli), si preferisce sempre tutelare la prole che necessita maggiormente della figura materna e di un alloggio sicuro, rispetto gli interessi e le aspettative deluse del proprietario.
UNA PRESUNZIONE DISCUTIBILE
La perdita della casa, in favore della compagna del proprio figlio, si basa dunque quasi sempre sulla presunzione che l’immobile sia stato concesso non al figlio ma al nucleo familiare.
Dunque va tutelata la donna con la prole in danno dei proprietari della casa pur estranei alla separazione.
Si tratta in sostanza di un espropriazione per pubblica utilità, (ma anche Carnelutti sosteneva che la pena di morte fosse un espropriazione per pubblica utilità).
In realtà l’interpretazione della Cassazione, peraltro confermata anche molto recentemente (Cass. n. 3553/2017), parte da presunzioni del tutto sfornite di prova. Infatti non è chiaro come faccia il giudice a ritenere presuntivamente che i genitori avrebbero voluto dare la casa a tutela della famiglia fino all’autonomia economica dei figli e non piuttosto, solo per qualche anno per permettere al figlio e alla moglie di trovare un alloggio adeguato.
In sostanza vi è un oggettiva inversione dell’onere della prova, laddove la casa si presume comunque attribuita alla famiglia, mentre sarà il proprietario che dovrà fornire prova contraria.
COMODATO A CARATTERE INDETERMINATO
Ma anche sotto altro profilo la questione si pone, laddove se il comodato fosse considerato indeterminato, e cioè senza limitazione temporale espressa, ne deriverebbe il diritto del genitore ad ottenerne la restituzione a semplice richiesta ex art. 1810 c.c.
Per sopperire a questa ovvia interpretazione, la Cassazione ritiene che il comodato insorto a tutela della famiglia, non sia un contratto senza fissazione del termine, ma si sia in presenza di un contratto sorto per un uso determinabile per relationem , e cioè per un tempo rapportabile all’autonomia economica dei figli.
In sostanza dunque il comodato della casa familiare rientra sotto un certo profilo nel comodato a termine, sia pure indeterminato, ma non nel senso di un contratto senza determinazione di durata, cioè precario, (e quindi con la restituzione della casa richiedibile in ogni momento), bensì un contratto il cui termine risulta implicito per destinazione e cioè rapportato all’autonomia dei figli.
Come tale l’immobile non è richiedibile indietro a semplice domanda, ma solo per motivi gravi e sopravvenuti.
NECESSITA’ DI UN CONTRATTO SPECIFICO
Tenuto conto di tale orientamento ormai, si ripete, consolidato dalla Suprema Corte, è sicuramente consigliabile ad un genitore che voglia dare in uso il proprio appartamento al figlio per la costituzione della nuova famiglia, che il rapporto venga inquadrato specificatamente, per esempio con un contratto di locazione ritualmente registrato con termini e modalità precise in modo da poterne ottenere la restituzione alla scadenza del termine concordato, se le cose dovessero andare male.