Come può il cittadino avere fiducia nell'amministrazione tributaria?
La sensazione che si ha esaminando le cartelle esattoriali poste in essere da Equitalia, le ingiunzioni, gli atti di esecuzioni che i clienti ci portano a studio per le opposizioni, è talvolta estremamente negativa.
Sembra che i funzionari inseriscano nelle richieste notificate al contribuente (suo malgrado), nel dubbio, qualunque pretesa dell’ente, inclusi presunti crediti macroscopicamente illegittimi, prescritti o privi di fondamento.
Già si è detto in precedenza dell’altissima percentuale di ricorsi del contribuente accolti contro l’Amministrazione fiscale, circa nel 55%, (dati del 2014), considerando gli accoglimenti totali (38%) e quelli parziali (15%).
Tale fatto che di per sé è gravissimo, in quanto l’Amministrazione Fiscale nel nostro sistema tributario agisce non solo come parte, ma anche come giudice, tant’ è che i provvedimenti emessi non passano per il vaglio di alcun magistrato, ma acquistano ipso jure validità esecutiva, solo perché lo dichiara unilateralmente l’Ente di riscossione.
Tuttavia se, per oltre il 50% le pretese sono dichiarate infondate dalla Commissione Tributaria, quale garanzia di imparzialità può mai permeare l’operato di Equitalia.
Il che è come dire che il cittadino non può avere fiducia alcuna in un ente che cerca troppe volte di sottrarre al contribuente somme non dovute.
Ciò senza contare che, pur di non sostenere le spese di un processo, molti contribuenti preferiscono pagare, anche se le pretese appaiono macroscopicamente ingiuste.
GLI UFFICI DI EQUITALIA
Riportiamo tra i numerosi casi similari che capitano al nostro studio, la situazione di una signora di mezza età, la quale aveva da poco perso il marito.
La stessa riceveva da Equitalia un atto di pignoramento della propria retribuzione, indirizzato al datore di lavoro per un importo ingentissimo, (soprattutto per un lavoratore) di oltre € 100.000,00.
Chiedeva spiegazioni al proprio datore, il quale le spiegava che, entro 60 giorni avrebbe dovuto comunicare all’ente, l’entità dei compensi versati bloccandoli immediatamente e girandoli all’Ente di riscossione.
La signora faceva presente che il marito si era sempre occupato di tutto e gli aveva garantito che nulla era dovuto ad Equitalia, sia perché i crediti erano prescritti, sia perché aveva già proposto dei procedimenti contro l’Ente per i quali aveva avuto sentenze favorevoli.
Il datore di lavoro suggeriva alla disperata dipendente, di recarsi immediatamente all’Ente di riscossione per appurare le problematiche e risolverle al più presto, tenuto comunque conto che entro 60 giorni egli avrebbe dovuto comunicare le somme trattenute e versarle direttamente ad Equitalia.
PERDITA TOTALE DEL REDDITO
La dipendente chiedeva comunque che le trattenessero al massimo, come per legge, il 20% della retribuzione.
Tuttavia anche tale speranza andava presto delusa, in quanto le veniva spiegato che, essendo pagata a fattura, come moltissimi lavoratori oggi, non poteva usufruire del beneficio dalla trattenuta del solo 20 %, ma il pignoramento andava considerato esteso a tutti i compensi che riceveva.
Il datore di lavoro era veramente addolorato dalla situazione, comprendendo che sarebbe mancato ogni mezzo di sostentamento per lei ed il figlio, ma faceva notare che diversamente Equitalia avrebbe preteso la somma dallo stesso datore di lavoro.
Ciò anche perché mancava la figura di un giudice a cui rivolgersi, in quanto nella procedura esecutiva tributaria, Equitalia svolge appunto la funzione sia di parte che di giudice, contemporaneamente, eseguendo il pignoramento, provvedendo all’incasso delle somme senza che nessun magistrato possa verificare la legittimità e la fondatezza di quanto effettuato.
L’ACCESSO AD EQUITALIA
L’interessata la mattina successiva, disperata, si presentava agli uffici di Equitalia di Roma, con tutti i documenti che era riuscita a trovare presso l’abitazione, convinta (incautamente) di poter parlare con un funzionario e risolvere velocemente la questione.
Giunta sul posto veniva a scoprire con raccapriccio che, per esaminare la propria situazione al più si poteva parlare con uno sportellista e comunque non era possibile procedere in tal senso in quanto l’ente distribuiva dei numeri per ricevere gli interessati.
Le veniva spiegato che, per poter parlare con qualcuno, poiché Equitalia riceveva un numero ridotto di “questuanti” si sarebbe dovuta recare il giorno successivo, alle 6.30 del mattino presso gli uffici di Equitalia, mettendosi in coda in attesa che aprissero le porte per poter far valere le proprie ragioni.
Con tutte le problematiche connesse per una madre sola con un figlio, l’interessata ancora convinta di poter risolvere il problema da sola giungeva presso gli uffici di Equitalia verso le ore 07:00 del mattino, ove trovava una pletora di persone già in attesa dalle 05:00 nella speranza ed in attesa di ricevere l’agognato numeretto.
IL FOGLIETTO CON IL NUMERO
In mezzo alla folla un signore distribuiva dei numeri per regolamentare l’accesso agli uffici, richiedendo un compenso singolarmente ai disperati utenti in attesa. Alle 08:35 i numeri erano terminati ed all’apertura dei cancelli di Equitalia l’istante scopriva che in realtà i numeretti distribuiti (previa mancia) non avevano sostanzialmente alcun valore, in quanto l’addetto che girava tra gli utenti, non era affatto un addetto di Equitalia, bensì un tizio qualunque che dietro compenso si premurava di mettere ordine nelle file.
PUBBLICITA’ E VOLANTINAGGIO
La cosa più assurda era che, in attesa di conferire con lo sportellista, gli angosciati contribuenti venivano avvicinati da giovani che distribuivano fra il pubblico, svariati volantini, sollecitandoli a rivolgersi a quella o ad altra struttura di assistenza, in genere facenti capo a professionisti, millantando la possibilità di non pagare alcunché grazie a recenti sentenze dei giudici tributari, della Cassazione, oppure a nuove norme, a cavilli vari ed in sostanza con risoluzione totale dei problemi.
Dopo un bel po’ di attesa, frastornata dalle tante sollecitazioni, finalmente l’interessata giungeva allo sportello.
L’addetto tuttavia le spiegava che comunque non sarebbe stato possibile ottenere l’annullamento dell’esecuzione forzata, se non dopo una lunga causa e previo ordine del giudice, mentre nel frattempo il suo datore di lavoro avrebbe dovuto comunque sottrarle la retribuzione versandola ad Equitalia.
Comunque le suggeriva di presentare istanza per la rateizzazione anche se le somme non erano dovute, in modo da bloccare il pignoramento. Infatti se le fosse stata concessa la rateizzazione, pur pagando importi non dovuti, automaticamente l’ente avrebbe sospeso il procedimento di esecuzione forzata liberando le retribuzioni.
L’interessata ovviamente era costretta a procedere in tal senso, non potendo sopravvivere senza alcuna retribuzione per sé e per il proprio figlio.
L’ASSENZA DI OGNI CONTROLLO
Ciò che colpisce in questa vicenda, simile ad altre centinaia, è in primis l’assoluto strapotere di Equitalia, il cui operato non è soggetto alla preventiva autorizzazione di alcun giudice, mentre si può ottenere un controllo del magistrato tributario o civile su un provvedimento fiscale, soltanto in ipotesi in cui il cittadino affronti le rilevanti spese per proporre i ricorsi, le opposizioni et similia.
Secondariamente emerge l’assurdità dell’ambiente stile “repubblica delle banane” in cui si trova coinvolto il contribuente, il quale già onerato e talvolta disperato per aver ricevuto cartelle rilevanti, o peggio l’iscrizione di ipoteca, il fermo amministrativo sulle autovetture con cui lavora, o il pignoramento della retribuzione come nel caso in essere, o ancora della casa, si trova di fronte, non uffici efficienti e che comunque avrebbero l’elementare dovere di tutelare ed aiutare il cittadino ed il contribuente, ma una gestione insensibile anche agli aspetti umani sottostanti, costringendo a sacrifici assurdi come doversi alzare alle quattro del mattino per poter parlare con uno sportellista di Equitalia o peggio di dover pagare pur avendo ragione.
E’ evidente che il sistema non solo è inefficiente, ma soprattutto irrispettoso dei diritti di ciascuno e non rispetta neanche su un piano etico le più elementari esigenze umane di chi si trova coinvolto in vicende tanto dolorose e tristi.
E questo è senza dubbio l’aspetto più grave.