Cosa succede in caso di divorzio se marito e moglie erano in comunione di beni?
Gli istituti della comunione e della separazione dei beni sono stati introdotti dalla legge n.151/75 nell’ampia riforma del diritto di famiglia con la finalità, contrariamente a quanto avveniva in precedenza, nell’ambito del rapporto coniugale, di permettere ad entrambi i coniugi di godere dei frutti del matrimonio. Le problematiche sorgevano però in caso di fallimento dell’unione con decisioni talvolta difformi.
La legge del 6/5/15 n.55 è ritornata sul punto, nell’ipotesi di separazione personale dei coniugi.
IL MUTAMENTO DEL REGIME PATRIMONIALE
La comunione dei beni costituisce il sistema standard di regolamentazione dei rapporti patrimoniale, in assenza di diverse disposizioni dei coniugi.
Molte questioni sorgevano però in caso di separazione o divorzio, in quanto l’art. 191 c.c. non chiariva affatto in quale momento del processo di separazione dei coniugi (udienza presidenziale, sentenza finale, passaggio in giudicato della sentenza), avvenisse il cambio di regime, da comunione a separazione dei beni, (sempre che i coniugi non avessero già prescelto il regime di separazione dei beni al momento del matrimonio), con conseguenze di estrema importanza. Su tale incertezza si sono innescate decisioni, a volte contrastanti, fino alla promulgazione della recente legge n.55/15.
I DOVERI NASCENTI DAL MATRIMONIO
Per comprendere l’importanza della scelta del regime patrimoniale, ricordiamo, per ciò che riguarda l’aspetto economico, che l’art.143 del c.c. statuisce come i coniugi assumano l’obbligo reciproco dell’assistenza morale, materiale e della collaborazione dell’interesse della famiglia. In relazione alle proprie sostanze, alla propria capacità di lavoro professionale o casalinga. Entrambi i coniugi hanno l’obbligo di mantenere agli studi della prole e inoltre concorrono negli oneri di mantenimento dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze ed alle capacità di lavoro professionale o casalingo.
Per permettere l’adempimento nella sostanza delle statuizioni suddette, nel 1975 nell’ambito della riforma epocale del diritto di famiglia in Italia, (in precedenza ciascun coniuge rimaneva proprietario durante il matrimonio dei beni che acquisiva), la normativa ha previsto due regimi: l’uno “ la comunione legale dei beni” che si considera il regime standard del matrimonio e l’altro la “separazione dei beni”, che viceversa doveva essere esplicitamente prescelto dai coniugi al momento del matrimonio o con successivo atto notarile.
LA COMUNIONE LEGALE DEI BENI
L’art. 159 c.c. dispone che la comunione dei beni costituisce dunque il regime patrimoniale legale, cioè tipico della famiglia. Quindi in mancanza di diverso accordo (convenzione), tutto ciò che viene acquistato in costanza di matrimonio, spetta ad entrambi i coniugi in egual misura.
Sono esclusi dalla comunione alcuni beni, cioè quelli acquistati dal coniuge prima del matrimonio, le donazioni, i beni di uso personale o professionale di un coniuge, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, i trattamenti pensionistici di invalidità, nonché i beni acquistati con il provento del trasferimento dei beni personali, purchè ciò venga dichiarato nell’atto d’acquisto.
Si noti che, comunione dei beni, ha il preciso significato secondo il quale tutti gli acquisti vengono considerati di comune proprietà, ma non significa che, nel nuovo regime del diritto di famiglia, le obbligazioni assunte da un coniuge, pongano l’altro coniuge come debitore solidale.
Infatti anche per la comunione dei beni, vale la regola generale per cui il contratto opera solo tra i contraenti e non obbliga i terzi (ex multis Cass. n.6118/90).
LA SEPARAZIONE DEI BENI
In sostituzione del regime della “comunione dei beni” i coniugi possono scegliere contrattualmente il regime della “separazione dei beni”, regime che costituiva come detto la regola generale prima dell’entrata in vigore della legge n.151/75.
L’art. 215 c.c. infatti dispone “ i coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio”. Ovviamente, anche in caso di scelta del regime di separazione dei beni, restano fermi e inderogabili gli obblighi primari e paritetici di contribuzione negli oneri della famiglia, nel mantenimento, nell’istruzione e nell’educazione dei figli, nonché gli obblighi di assistenza vicendevole.
Il regime della separazione dei beni può instaurarsi, all’atto della celebrazione del matrimonio con apposita dichiarazione, o successivamente al matrimonio con specifica convenzione mediante atto pubblico notarile. Inoltre, si passa da regime di “comunione” dei beni a quello di “separazione”, ed è questo quello che qui ci interessa ed è stato oggetto della riforma legislativa di cui alla legge n. 55/15, allorchè sopravvenga un provvedimento giudiziale che determini lo scioglimento della comunione legale, vale a dire, tra gli altri, la separazione giudiziale dei coniugi o la separazione consensuale degli stessi, ed ovviamente, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero l’annullamento del matrimonio stesso.
IL MOMENTO IN CUI MUTA IL REGIME DA COMUNIONE A SEPARAZIONE DEI BENI
La legge del 1975 è stata imprecisa sotto alcuni profili. Uno di questi è proprio quello che riguarda il mancato chiarimento del momento in cui si passa da regime di “comunione”, se questo era il regime adottato, in quello della “separazione” dei beni e cioè, se tale mutamento si verifica quando i coniugi compaiono davanti al Presidente del Tribunale che li autorizza a vivere separati, ovvero con la sentenza finale, ovvero con il passaggio in giudicato della stessa e, nella separazione consensuale, dal momento della comparizione dei coniugi davanti al presidente del Tribunale, ovvero dall’omologazione della separazione.
Si noti, che non si tratta di vuote elucubrazioni dottrinali, in quanto molto spesso, (a noi è capitato più volte), un coniuge credendosi separato e libero dall’altro, acquistava un immobile durante il processo di separazione e di fatto faceva acquisire gratuitamente il 50% all’altro (talvolta odiato) coniuge, con tutte le conseguenze economiche e patrimoniali immaginabili. La questione si pone, in quanto, la Cassazione aveva scelto il criterio più restrittivo, e cioè aveva statuito che, per mutare il regime da “comunione dei beni” a “separazione dei beni”, non bastava comparire avanti al Presidente e neanche bastava la pronuncia della separazione giudiziale, ma era necessario il passaggio in giudicato, ossia il decorso dei termini per l’impugnazione, mentre per la separazione consensuale, viceversa doveva essere intervenuta l’omologazione.
È così facilmente comprensibile come coniugi, autorizzati a vivere separati dal Presidente del tribunale, in buona fede ritenevano di essere separati e nel corso di un processo talvolta pluriennale acquistavano proprietà magari con il nuovo compagno o compagna e finivano di fatto per intestare metà del patrimonio all’altro ex coniuge.
LA LEGGE DEL 06/05/2015 N.55
Con tale normativa innanzitutto è stato abbreviato il termine per proporre la domanda di divorzio, quindi non devono più decorrere tre anni dalla data di comparizione dei coniugi avanti al Presidente bensì sono sufficienti dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi, mentre nella separazione consensuale sono sufficienti sei mesi. Ciò anche quando il giudizio è iniziato come contenzioso e si è trasformato in consensuale.
Per ciò che riguarda viceversa la questione del regime patrimoniale, all’interno della legge, è stato inserita l’interpretazione autentica dell’art.191 c.c. in senso totalmente opposto a quanto deciso dalla Corte di Cassazione.
Si è infatti precisato che “nel caso di separazione personale la comunione dei coniugi si scioglie nel momento in cui il Presidente autorizza i coniugi a vivere separarti, ovvero dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale avanti al Presidente, purchè omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’Ufficiale dello Stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione”.
Dunque, ora il mutamento del regime patrimoniale avviene, sia nella separazione giudiziale che nella separazione consensuale, immediatamente con la comparizione davanti al Presidente, con ciò eliminando tutte quelle questioni e quegli strascichi giudiziali che talvolta si verificavano allorchè i coniugi effettuavano acquisti, sia pure in buona fede, durante il processo.
LA COMUNIONE DEL RESIDUO
Per completare questo breve e schematico excursus ricordiamo sempre in tema di separazione dei coniugi, che l’art. 177 c.c. statuisce tra l’altro, che al momento della separazione dei coniugi debbano essere suddivisi tra loro “ i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi percepiti e non consumati ed i proventi… dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione non siano stati consumati”.
Si tratta della cosiddetta “comunione del residuo”, vale a dire di tutti quei beni che di norma non rientrano nella comunione legale, ma ne divengono parte, solo al momento dello scioglimento del regime se esistenti.
Quindi per esempio, va diviso, al momento della separazione, il denaro percepito da un coniuge derivante dall’utilizzo di una proprietà immobiliare propria e così anche i proventi dell’attività di ciascuno dei coniugi non ancora consumati al momento dello scioglimento e depositati presso l’istituto bancario, (Cass. 28/06/1997 n.5785).