Mutando un precedente orientamento consolidato, la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’instaurazione di una nuova famiglia di fatto, anche se non legalizzata, fa perdere alla donna il diritto all’assegno divorzile, non essendovi più alcun rapporto con il precedente coniuge e non potendosi più considerare il tenore di vita goduto durante il precedente matrimonio.
Nel nostro ordinamento giuridico, a differenza di ciò che avviene in altri Stati, il divorzio non chiude ogni rapporto tra i coniugi, come se le obbligazioni matrimoniali sopravvivessero anche alla cancellazione del vincolo.
Se per ciò che riguarda i figli la norma appare ovvia, tutt’altro è il discorso per ciò che riguarda il diritto della moglie ad un assegno da parte del marito.
In tal senso la legge n. 898/70 istitutiva del divorzio e poi le successive modifiche intervenute nel corso degli anni (n. 436/78, n. 74/87 fino alla recentissima legge n. 55 del 11/05/2015), pur incidendo in modo profondo nella normativa, hanno lasciato tuttavia inalterato il diritto del coniuge ad ottenere un assegno divorzile dall’altro, allorché il coniuge beneficiario “non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive”.
La norma contenuta nell’art. 5 comma 6 della Legge 898/70, prevede inoltre espressamente che il Tribunale debba tener conto, nella determinazione dell’assegno divorzile, delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale dato da ciascuno nella conduzione familiare, nella formazione del patrimonio, e naturalmente del reddito di entrambi.
I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL’ASSEGNO
La giurisprudenza di merito e di legittimità, ha stabilito quindi che l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si deve articolare in due fasi: la prima nella quale il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione alla inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente fondarsi su legittime aspettative nel corso del matrimonio.
Successivamente il giudice deve procedere ad una determinazione quantitativa delle somme, in modo da superare l’inadeguatezza dei mezzi, determinandola in concreto, in modo da far conservare al coniuge avente diritto, il tenore di vita al quale avrebbe avuto diritto durante il matrimonio.
Così, se può apparire legittimo che un coniuge nullatenente separatosi o divorziato, non per sua responsabilità, conservi il diritto ad un assegno per sé, più discutibile appare la norma allorché viceversa l’assegno venga stabilito sulla base della differenza dei redditi.
Attualmente per esempio, un soggetto che percepisca un reddito mensile di circa € 5.000,00 verserà alla moglie, che viceversa beneficia di un reddito di € 1.000,00, un’integrazione economica in ulteriori € 500,00-800,00, secondo la media delle attuali decisioni di merito.
I NUOVI RAPPORTI SENTIMENTALI
Una volta terminato il rapporto, prima con la separazione e poi con il divorzio, spesso gli ex coniugi instaurano un nuovo legame sentimentale, (talvolta è proprio questa la causa del fallimento dell’unione).
In numerosissime occasioni, è stato portato all’attenzione dei giudici di merito e della Suprema Corte, il quesito se il coniuge che instaurasse un nuovo rapporto sentimentale, avesse ugualmente diritto a mantenere l’assegno.
La questione era stata risolta dalla giurisprudenza, dopo alterni e contrastanti orientamenti, ritenendo che la costituzione di una nuova famiglia, nei soli casi in cui ciò comporti il godimento da parte dell’ex coniuge, dei proventi del nuovo compagno (o compagna), debba essere considerata rilevante, ma solo nella misura in cui fa venir meno lo stato di bisogno iniziale.
Conseguentemente il nuovo rapporto more uxorio non fa cessare ipso jure il diritto all’assegno, ma può far decadere o ridurre l’assegno divorzile, solo e soltanto in rapporto al reddito percepito in forza della convivenza con il nuovo partner e previa rigorosa dimostrazione in tal senso.
Quindi il giudice del merito, seguendo tale orientamento, deve verificare se la nuova famiglia abbia quelle caratteristiche di continuità, solidità e capacità economiche tali da garantire a chi percepiva l’assegno dal precedente matrimonio, un sufficiente reddito con la conseguenza di un provvedimento di revoca dell’assegno divorzile o quantomeno di riduzione.
Infatti l’eventuale reddito goduto nel nuovo nucleo familiare, fa proprio mancare il presupposto dell’assegno divorzile, vale a dire lo stato di bisogno preesistente rapportato anche al precedente tenore di vita.
In sostanza una relazione more uxorio rileva ai fini della domanda di revoca dell’assegno a carico dell’ex coniuge, solo nei limiti in cui tale relazione incida sulla reale e concreta situazione economica della donna, risolvendosi in una fonte effettiva e non aleatoria di reddito.
Quindi secondo la pregressa giurisprudenza non era sufficiente una relazione sentimentale, e neanche la reale costituzione di una nuova famiglia di fatto, ma, per eliminare l’assegno divorzile, bisognava dimostrare che la ex moglie partecipava, grazie a tale nuovo rapporto, ai proventi economici del nuovo partner.
… E SE POI IL RAPPORTO CESSA?
Questa soluzione tuttavia lasciava scoperto il fianco a conseguenze giurisprudenziali poco convincenti.
Il problema era di determinare se, una volta che cessasse il rapporto sentimentale con il nuovo compagno, potesse essere ripristinato ex nunc l’assegno di mantenimento, proprio in quanto cessava il supporto economico derivante dalla nuova relazione.
La soluzione della Cassazione rispondeva in modo positivo.
In tal senso nell’ambito della giurisprudenza maggioritaria, si affermava (ex multis Cass. n. 17195/11) che il fenomeno del possibile ripristino dell’assegno dovesse spiegarsi con una sorta di “temporanea quiescenza” del diritto al mantenimento in caso di nuova relazione more uxorio.
Tuttavia con il diritto di riproporre la domanda per l’assegno divorzile in caso di rottura del rapporto more uxorio tra i conviventi di fatto, interruzione che può effettuarsi “ad nutum, ed in assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento che non preveda garanzia alcuna per l’ex familiare di fatto”
In sostanza dunque, la soluzione accettata dalla giurisprudenza, piuttosto farraginosa, riteneva che l’assegno potesse essere eliminato in presenza di una nuova famiglia economicamente solida e stabilizzata, ma ripristinato ove tale rapporto venisse a cessare.
SE CONVIVI PERDI L’ASSEGNO PER SEMPRE
Del tutto innovativo è l’intervento della Cassazione con la sentenza n. 6855 del 3/04/2015 che rivede tutti i precedenti orientamenti in senso negativo per la donna.
La questione posta all’attenzione della Corte riguardava una famiglia di fatto costituita dall’ex coniuge, ormai consolidata, tant’è che vi era stata anche una nuova gravidanza.
Quindi il marito insisteva per richiedere l’annullamento dell’assegno.
Il Tribunale di Brindisi, viceversa, dichiarando la cessazione degli effetti civili del matrimonio, determinava l’assegno divorzile in € 1.000,00 mensili in favore della moglie e la Corte d’Appello di Lecce sostanzialmente confermava l’assegno.
Il marito ricorreva alla Corte Suprema, rilevando che la relazione more uxorio ormai consolidata della moglie, non poteva non portare all’annullamento dell’assegno, in quanto appariva ingiusto che la donna percepisse un assegno dal precedente marito, quando poi aveva instaurato un nuovo rapporto stabile.
Controparte, ovviamente eccepiva che, trattandosi di una relazione risolvibile ad nutum e senza alcuna garanzia normativa, l’assegno divorzile doveva essere mantenuto.
La Cassazione rivedendo tutta la giurisprudenza precedente e prestando attenzione al “parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto” rilevava che indubbiamente la convivenza more uxorio di uno degli ex coniugi, dava luogo alla nascita di una vera e propria famiglia, sia pure di fatto.
Così facendo non può che considerarsi rescissa ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzati dalla precedente unione e con ciò venendo a mancare ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile, fondato viceversa sulla conservazione di un tenore di vita al quale non ci si può più richiamare, essendo stata effettuata la scelta di costituire una nuova famiglia.
In sostanza la Cassazione ha deciso che non vi era più alcun collegamento con il precedente matrimonio e dunque, la moglie che richiedeva il mantenimento o l’assegno divorzile, non ne aveva più alcun diritto.
Infatti una volta che si sia deciso di costituire una famiglia di fatto, questa diviene espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole che comporta l’esclusione di ogni residuo obbligo di solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge.
Tale soluzione peraltro evita quella artificiosa costruzione giurisprudenziale secondo la quale l’assegno divorzile può scomparire per un certo periodo in presenza di una famiglia di fatto e poi ricomparire allorché la famiglia di fatto si sfasci.
Quindi in sostanza, tenuto conto che, nel caso specifico si era dimostrata la creazione di un rapporto more uxorio, la solidità e la continuità nel tempo di tale rapporto e la libera determinazione di creare una famiglia da parte della donna, anche solo per questo, ogni rapporto con il precedente matrimonio, secondo la Cassazione, non poteva che considerarsi cessato e con esso l’assegno divorzile.
La decisione è importante perché di fatto riguarderà diverse fattispecie, tenuto conto che, dopo la separazione ed il divorzio, quasi tutti i soggetti coinvolti tendono a costruire un nuovo nucleo familiare e dunque una scelta similare non potrà che comportare per la donna il rischio di perdere il diritto al sostentamento da parte dell’ex coniuge fino ad oggi percepito.